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Con la matita di Lorenzo Tomacelli le tradizioni di Capitanata diventano piccole opere d’arte

Una matita, i colori della nostra terra, il profumo del vino, l’oro del grano, le tradizioni racchiuse in opere d’arte senza tempo, ricerca, passione e tanto talento. Lorenzo Tomacelli, Dottore in Storia dell’Arte e sensazionale artista di Capitanata, riesce a dar vita a straordinarie opere d’arte che trasudano di tradizione e amore per la terra foggiana, una terra non sempre facile ma che vanta antichi tesori e un ricco bagaglio culturale.

Lorenzo lo sa bene, figlio di questa amara e bellissima terra. Nella sua giovane carriera d’artista ha realizzato diverse opere d’arte, etichette per prodotti legati al mondo del food e ha anche illustrato copertine di libri come “Attentato al Piccolo Principe” di Adelmo Monachese e “La terra dei giganti” di Francesco Gasbarro.

I colori, le matite e i pennelli da sempre scorrono nelle vene del giovane artista che si lascia ispirare dai colori della Capitanata, dalle sue distese dorate di grano e dai suoi uliveti, dall’azzurro del mare e dall’arancione delle arance del Gargano, dalle leggende sulle sirene, dalle antiche tradizioni legate al mondo contadino e al folklore.

Con i suoi disegni Lorenzo prova a far rivivere la storia della sua terra a modo suo, con il suo occhio attento e affamato di curiosità, reinterpretando le più antiche culture in chiave di realismo magico. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui per capire da dove nasce la sua passione e dove l’ha portato oggi.

Ti ricordi il giorno in cui hai preso per la prima volta in mano una matita e hai iniziato a disegnare?

Ho iniziato da piccolino, ricordo che sin da piccolo avevo intorno a me sempre matite e pennelli, qualcosa che mi permettesse di disegnare e dipingere. Ricordo che ero appassionato delle raffigurazioni sacre, quelle dei santi.

Lorenzo Tomacelli

Hai scelto di inseguire una strada bellissima ma non facilissima, quella dell’artista, quando hai capito che la tua passione sarebbe diventata un lavoro?

Il momento di svolta è avvenuto quando avevo circa 23 anni in un laboratorio urbano qui a Cerignola. Io disegnavo da sempre ma lì si è innescato qualcosa in particolare, perché anche se disegnavo in disparte mi sono ritrovato presto ad avere un primo contatto con il pubblico. C’era sempre qualcuno che veniva a curiosare e mi chiedeva come nascevano le mie opere, cosa rappresentavano, se potevo venderle ecc.

Da quel momento ho capito che dalla mia arte potevo anche guadagnarci qualcosa ed è stato un punto di svolta nella mia carriera. Iniziai quindi a fare qualcosina nel laboratorio urbano e poi pian piano si sparse la voce.

Con le tue illustrazioni hai trasformato la comunicazione visiva di diverse aziende della Capitanata, ci parli delle tue collaborazioni attuali?

Le più note e quelle che vanno avanti da un po’ più di tempo sono sicuramente quelle con Birra del Gargano e Cantine merinum, la prima di Peschici e l’altra di Vieste, dove il mio lavoro è stato più influente in quanto si è trattato di ridisegnare l’immagine e dare un’identità al brand.

Birra del Gargano va avanti da più tempo, collaboro con Vincenzo Ottaviano del Trabucco da Mimì dal 2015, mentre con Cantine merinum da maggio 2019.

Poi ci sono altre collaborazioni come quella con Cantine Caiaffa a Cerignola, ho realizzato un’etichetta per l’olio commissionata da Luigi Vecera dell’Hotel Piccolo Paradiso di Peschici, altre etichette sempre per l’olio di Cantine merinum e Vuliò. In generale, quindi, le mie collaborazioni sono prettamente con aziende che ruotano intorno al cibo e all’enogastronomia.

Inoltre ho realizzato anche l’etichetta per il vino “Franco” per la cooperativa Sociale “Pietra di Scarto” per ricordare e omaggiare Francesco Marcone, il Direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia ucciso dalla Società Foggiana.

Scendiamo nel dettaglio. Hai realizzato meravigliose etichette per raccontare la Birra del Gargano, da dove partono le tue opere? Da cosa ti sei lasciato ispirare?

Le etichette di Birra del Gargano sono state ispirate dal paesaggio, dai gioielli e dai costumi tradizionali delle donne del Gargano, precisamente di Monte Sant’Angelo e San Marco in Lamis. Volevamo abbracciare tutto il territorio garganico.

I gioielli sono stati di grande ispirazione per me, come le grandi spille e gli orecchini che sono presenti nelle fotografie dei primi del ‘900 e si ritrovano in un volume che si chiama “Gli ori del Gargano” di Rita Mavelli e Anna Maria Tripputi. Consultare questo libro è stato fantastico.

Quello che mi piaceva era dare un unico colore e un’unica sensazione per tutta l’identità del marchio, l’azzurro. Questo colore è stato poi ripreso anche nel merchandising di Birra del Gargano. Da questo colore si è andata a creare un’identità visiva molto forte e precisa per il brand. Ora abbiamo realizzato due nuove stampe che parlano sempre del territorio garganico, una dedicata al trasporto dei limoni e l’altra alla tarantella del Gargano.

Ci parli delle illustrazioni che hai realizzato per le Cantine merinum? Qual è la storia che si cela dietro i tuoi disegni?

Sono partito con un’idea di base molto definita, quella di realizzare etichette per il vino con un linguaggio classico ma allo stesso tempo che suggerisse qualcosa di “non visto”. Così, mi è venuta l’idea di abolire il bianco (colore molto utilizzato nelle etichette di vino) e di farmi ispirare dal colore che avrebbero avuto i vini creando così delle etichette che fossero quasi un completamento del prodotto.

Le etichette, infatti, sono a sfondo pieno dove il colore del cielo a seconda delle tonalità del vino si specchia nell’etichetta. Quindi l’etichetta del rosso ha colorazioni più sul violaceo, quella per il vino rosato sul rosa e quella per il bianco sul giallo paglierino.

Oltre a queste indicazioni cromatiche volevamo raccontare tre storie diverse, legate non solo al territorio (quindi a Vieste) ma alla famiglia e all’esperienza personale di Cinzia Quitadamo che è la produttrice. Lei ha imparato l’arte del vino da suo nonno, così abbiamo voluto celebrare questo momento con la creazione della prima etichetta “Don Giovanni”, un ricordo e un regalo nei confronti del nonno di Cinzia.

La seconda etichetta del rosato, Cinzia, è un omaggio alla produttrice e a tutte le donne imprenditrice. Questa etichetta ha un taglio che ammicca molto alle danze tradizionali del Gargano e per questo motivo la figura richiama sia a Cinzia Quitadamo che alla tarantella garganica. Fra le tre è sicuramente l’etichetta che è piaciuta di più.

L’ultima è quella del bianco ed è dedicata alla processione di Santa Maria di Merino, patrona di Vieste. Volevamo onorare questo particolare evento con una rappresentazione artistica. Si narra che la statua della Vergine sia stata trasportata dal mare sulle rive di Vieste per poi approdare in località Merinum dove ancora oggi è presente un santuario dal quale ogni anno parte in processione la statua della Vergine Maria per arrivare fino al centro garganico. La processione è molto suggestiva e così volevamo ricreare l’idea della devozione popolare in un’etichetta.

Una delle tue opere che mi ha colpito di più è stata quella realizzata durante il lockdown dell’anno scorso. Ci vedo un po’ di Dalì e Magritte. Cosa rappresenta?

Si tratta di un’idea improvvisata, sicuramente non di un disegno studiato. Il disegno voleva suggerire il richiuderci in noi stessi, per questo motivo la presenza della chiave infilata nella testa che chiude le menti – era questa la mia sensazione in quel momento -. L’ho vista come una chiusura mentale, una prospettiva triste. È molto surrealista come idea ma più che Surrealismo mi piace pensare a quello che faccio come a qualcosa ispirato da un “realismo magico”, qualcosa che ha riferimenti al mondo visibile ma con note surrealistiche.

Quale consiglio vorresti dare a giovani artisti che come te vorrebbero far diventare la loro più grande passione nella loro professione?

Il consiglio che mi sento di dare è quello di rendere pubblici i propri lavori. C’è molta diffidenza del genere umano in questo campo perché molti pensano che i lavori possano essere rubati e copiati – cosa che purtroppo a volte succede – ma se non rendiamo pubblica la nostra ispirazione e il nostro lavoro non potrà mai avvenire il passo successivo.

Bisogna mostrare ciò che si fa anche sui social, io ho iniziato anche così. Un altro consiglio è quello di non essere troppo duri con le proprie opere, sento spesso gente che ha un parere negativo su ciò che disegna, non ha grande fiducia nel proprio lavoro. Se non si è disposti a condividere ciò che si fa ovviamente non si può avere nemmeno un riscontro positivo, è un po’ un circolo vizioso. Ultimo consiglio, la pratica. Ci vuole tempo. Se si vuole fare arte nasce tutto molto spontaneo ma occorre anche tanta pratica. Fare prove su prove, cancellare e ricominciare.

Annarita Correra

Mi chiamo Annarita Correra, ho 28 anni, sono una giornalista pubblicista, una copywriter, content creator e cantastorie. Credo che la bellezza salverà il mondo e per questo la cerco e la inseguo nella mia terra, la più bella del mondo. L’amore per la letteratura mi ha portato a conseguire la laurea triennale in Lettere Moderne e quella magistrale in Filologia Moderna. Ho collaborato con riviste online culturali, raccontando con interviste e reportage le bellezze pugliesi. La mia avventura con Foggia Reporter é iniziata cinque anni fa. Da due anni curo la linea editoriale del giornale, cercando di raccontare la città e la sua provincia in modo inedito, dando voce e spazio alla cultura e alle nostre radici. Scrivo e creo contenuti digitali, gestisco la pagina Instagram del giornale raccogliendo e raccontando le immagini più belle delle nostra terra.

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