Le mura di San Nicola: il centro storico a strapiombo sul mare delle Tremiti

Le mani dei monaci hanno forgiato ciò che si ammira dentro le mura dell’isola di San Nicola, oblungo arcipelago a strapiombo sul mare che racchiude il mito e le leggende delle Isole Tremiti.
Seppure San Domino sia la terra più grande e la più gettonata tra i vacanzieri; San Nicola è un museo a cielo aperto, l’emblema della monumentalità nel cuore dell’Adriatico, quasi a definirsi il centro storico delle isole diomedee.
Dai primi secoli del Cristianesimo, San Nicola si raccoglie intorno l’unica chiesa dell’isola, l’imponente Abbazia – fortezza di Santa Maria a Mare, cinta dal Castello delle Badiali e su cui primeggia il Torrione del Cavaliere de Crocifisso.

Appena sbarcati al porticciolo della Marina si percepisce l’atmosfera mistica che denota tutto il territorio del Gargano, quello medievale: la vista di un teschio smorzato è distratta dalla meraviglia delle acque turchesi su cui si affaccia.
Il suono delle cicale e il fruscio dei pini d’Aleppo fanno da cornice alla suggestione che si prova dinanzi Grotta di San Michele.
L’unica porta d’ingresso all’isola introduce su di una rampa tra il monte e la feritoia, da cui i monaci scrutavano il mare.
In salita al Monastero, l’attenzione ricade sugli Scogli Segati, masso spaccato in due da un dirupo come se fosse stato tagliato da mani esperte.
Raggiunta la cima della roccia di San Nicola, si ammira sin da subito il portale e la facciata di Santa Maria a Mare in tutta la loro bellezza.
L’Abbazia di Santa Maria a Mare e al Castello delle Badiali, infatti, sono il fiore all’occhiello di queste terre sconfinate e desolate.

Nei secoli, varie comunità di monaci scelsero questo luogo per la lontananza e la solitudine, dando poi vita al complesso visitabile ancora oggi.
Vergine, santi e Cherubini animano un rilievo decorativo della facciata di Santa Maria a Mare, delineata da un chiaro influsso rinascimentale firmato dai Canonici Lateranensi, i quali completarono l’opera durante la difesa dai turchi.
Il Chartularium Tremintense racconta che la sua prima costruzione risalga al 1045 d.C. per mano dei Benedettini Cassinesi, volontà espressa da un eremita visionario approdatovi qui per caso.
Una volta all’interno dell’abbazia lo sguardo volge all’altare maggiore, rivestito da un polittico in laminatura aurea e lignea in pendant con il Crocifisso e la Statua della Vergine dal volto scuro, rigorosamente di matrice greco-bizantina.

L’altezza del soffitto affrescato enfatizza il fresco delle tre navate in contrasto con il caldo afoso dell’esterno, allontanato per magia dall’aura musiva sul pavimento, sede della sepoltura di Diomede e dei suoi tesori.
Una commistione tra sacro e profano spiega la presenza di un chiostro di tutto rispetto effigiato dal leit motiv delle diomedee, il leggendario uccello di mare tipico di queste isole, alternato nella pietra tra ghirlande d’ulivo e mirto, piante medicinali utili ai monaci per la preparazione di bevande ed infusi.
La Loggia della Cisterna Mediana, pozzo ottagonale di 17 metri al centro del chiostro, scandiva l’ora et labora nelle giornate medievali, garantendo allo stesso tempo la sorgente idrica al refettorio grazie alla cisterna sotterranea.

Oltre all’ingegnosità del monumento, nel XIII secolo, il chiostro e l’abbazia furono trasformati dal patrocinio di Carlo d’Angiò in una fortezza attraverso le Mura di Cinta e il Torrione di difesa.
Fu così che il complesso monastico dei Cistercensi vide affiancarsi anche dal Castello dei Badiali.
Camminamenti e cunicoli non sono fuori luogo se si pensa ai pericoli e alle emergenze a cui furono sottoposti i monaci.
Dai racconti dei più anziani, si indicano questi ambienti come vecchie prigioni dove il tintinnio di anelli e catene, fissate a colonnine rudimentali e banchi di pietra in giaciglio ai condannati, sono ancora il suono di storie fantasmagoriche.

La presenza di alcuni resti archeologici chiarisce che San Nicola fosse colonia penale e di confine già ai tempi dell’Impero Romano.
Una funzione ripresa dal 1783, con la soppressione di Santa Maria a Mare per mano del re Ferdinando IV di Napoli, e perpetuata fino al ‘900 come confino mussoliniano, luogo di prigionia e pena per politici antifascisti.
Pensare che persino Antonio Gramsci e Sandro Pertini vi scontarono la loro condanna.
In fondo, un posto così traspare la sua beltà proprio nella profondità delle sue storie.
Fonte: pp. 628-632, Francovich, R., Valenti, M., “IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale”, All’insegna del Giglio, 2006.
p. 137., Giovetti, P., “L’Italia dell’insolito e del mistero: 100 itinerari diversi”, Edizioni Mediterranee, 2001.