Economia

Grano duro, meno semine in Puglia. Cia Agricoltori: “Crollo dei prezzi decisivo

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“Alle stelle il prezzo di semola, pane e pasta; alle pezze quello
corrisposto ai cerealicoltori”

0,39 cent agli agricoltori, +31% in valore l’export per i pastai, da 4,7 a
9,8 euro un kg di pane

Lo studio dell’Università di Bari: 1.370 euro a ettaro i costi di
produzione per il grano

Miano (Cia Capitanata): “Così il grano italiano va in serie B, a fare il
mercato sono i grani esteri”

De Noia (Cia Levante): “Rischio dipendenza dall’estero di una filiera
essenziale del made in Italy”

In Puglia e più in generale nel Mezzogiorno d’Italia, nel 2023 è diminuito
il numero di aziende agricole che hanno deciso di seminare a grano duro i
loro terreni. E’ quanto emerge dall’indagine ISTAT sulle intenzioni di
semina pubblicata pochi giorni fa. Il dato, con un decremento del 3,2%, è
ricavato da una ricerca su un campione di 15mila aziende. “Decrescono la
superficie agricola coltivata e il prezzo del grano duro italiano, che nel
giro di un anno è diminuito di un terzo; allo stesso tempo, aumentano i
prezzi di tutti i prodotti trasformati della stessa filiera: dalla semola,
al pane e alla pasta, come confermano le rilevazioni del Mise. Il primo e
più importante anello della filiera è penalizzato, tutti i segmenti
successivi raccolgono i profitti di una vera e propria esplosione
dell’export: nel 2022, le esportazioni di pasta italiana sono cresciute del
5,1%, del 31% in termini di valore, per un totale di 3,7 miliardi. Qualcosa
non torna. Allo stesso tavolo, alcuni commensali si riempiono la pancia, ad
altri non vengono lasciate nemmeno le briciole”. Gennaro Sicolo, presidente
CIA Puglia e vicepresidente nazionale CIA Agricoltori Italiani, snocciola
dati ufficiali e usa una metafora eloquente per spiegare lo squilibrio che
sta affossando la cerealicoltura pugliese e italiana. Per un chilo di grano
duro, ai cerealicoltori pugliesi attualmente vengono corrisposti 39
centesimi.

*PREZZI A CONFRONTO*. La Facoltà di Agraria dell’Università di Bari, di
recente, ha calcolato in 1.370 euro il costo complessivo sostenuto da un
cerealicoltore pugliese per seminare, coltivare, curare e raccogliere il
grano prodotto da un ettaro di terra. Il prezzo medio di un chilo di pasta
realizzato con semola di grano duro, secondo un’indagine di Assoutenti, è
di 1,95 euro, ma può arrivare fino a 4,7 euro; *per un chilo di pane, il
prezzo medio è di 4,7 euro ma a Ferrara arriva a 9,8 euro secondo le
rilevazioni ufficiali del Ministero delle Imprese e del Made in Italy*.

“Chi permette che a determinare il prezzo del grano italiano siano i grani
esteri fa retrocedere il nostro frumento duro in serie B”, ha aggiunto
Angelo Miano, presidente provinciale di CIA Capitanata, “perché ciò che
viene importato massicciamente ha standard qualitativi, livelli di
salubrità e costi di produzione inferiori a quelli che vincolano i
cerealicoltori italiani”. Occorre valorizzare l’intera filiera 100%
italiana del grano duro, garantendo un equo riconoscimento a produttori e
trasformatori e assicurando la qualità e salubrità di grano, semola e pasta
italiana ai consumatori. Per la produzione, in Italia, i cerealicoltori
devono attenersi a un preciso e severo disciplinare che garantisce la
migliore qualità e la massima salubrità del grano duro italiano. I diversi
produttori esteri attivi sul mercato internazionale non hanno il medesimo
disciplinare e le stesse regole vigenti in Italia.
*COSA RISCHIA LA FILIERA. *La Puglia è la prima produttrice italiana di
grano duro, con una media che negli ultimi anni si è attestata attorno ai
9,5 milioni di quintali annui, il 30% dell’intera produzione nazionale.
L’80% in provincia di Foggia, la parte restante trova dimora soprattutto
nel Barese e nella BAT. “Il rischio è che, progressivamente, come sta già
accadendo, diminuiscano le superfici coltivate e la produzione, lasciando
sempre più spazio alla dipendenza dall’estero dell’intera filiera del made
in Italy per i prodotti trasformati come pane e pasta”, ha spiegato
Giuseppe De Noia, presidente di CIA Levante (Bari-Bat). “E’ un rischio che
dovrebbe mettere tutti in allarme, perché stiamo parlando di qualità e
salubrità, di benessere e salute per i consumatori”.

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