Salute e Benessere

Coinvolgimento attivo del genitore per la stimolazione del linguaggio: una risorsa preziosa durante l’emergenza Covid-19

Uno dei principali motivi per cui i genitori si rivolgono ai servizi di riabilitazione, scaturisce da preoccupazioni o dubbi sullo sviluppo linguistico del proprio bambino.

Questo avviene perché i disturbi che interessano gli ambiti del linguaggio e della comunicazione costituiscono il disordine dello sviluppo più ricorrente in età evolutiva, benché possano presentare differenti gradi di gravità o altre peculiarità.

Possiamo trovarci ad esempio in presenza di una semplice alterazione della produzione linguistica, come l’assenza o errata pronuncia di alcuni suoni, un vocabolario povero o una frase poco espansa, possiamo avere alterazioni più importanti che possono rendere il linguaggio poco chiaro ed efficace, nei casi più severi è coinvolta anche la comprensione.

Ecco un interessante approfondimento della logopedista Valentina Minelli di San Severo su un argomento molto attuale nell’ambito della pratica logopedica.

Molti bambini che afferiscono ai servizi di riabilitazione per difficoltà che riguardano esclusivamente il linguaggio espressivo hanno meno di tre anni  e presentano un vocabolario espressivo ridotto, in assenza di condizioni concomitanti, essi vengono definiti parlatori tardivi o late talkers. La maggior parte di questi bambini risolverà spontaneamente (late bloomers), ma una percentuale variabile tra il 20 e il 30% riceverà più tardi una diagnosi di Disturbo Primario del Linguaggio.  

E’ possibile riconoscere i bambini a  rischio? Certo: tra gli indici predittivi possiamo sicuramente ricordare la presenza di familiari con disturbi o ritardi nel linguaggio, la concomitanza di problemi pre/perinatali (ad es.: parto prematuro, basso peso alla nascita),  lo svantaggio socio-economico e culturale dei genitori.  Il documento di sintesi della Consensuns Conference sul Disturbo Primario del Linguaggio del 2019 afferma l’importanza dell’identificazione e intervento precoci.

Che cosa può succedere al bambino che non riceve un intervento adeguato e precoce? E’ ampiamente dimostrato in letteratura il rischio di  sviluppare difficoltà negli apprendimenti scolastici, problemi di adattamento emotivo-sociale, comportamentali e psichiatrici. Un intervento offerto in tempi utili andrà a ridurre il rischio e l’impatto di tali problematiche secondarie e ridurrà la durata della terapia.

Molto spesso ai genitori preoccupati per le difficoltà linguistiche del loro bambino viene detto: “Non preoccuparti, parlerà, è ancora piccolo”. In realtà le possibili conseguenze appena descritte ci suggeriscono quanto sia rischioso l’atteggiamento cosiddetto wait and see che consiste nell’“aspettare ed osservare” cosa accadrà nel tempo, per valutare se sia il caso o meno di intervenire.  

Sarebbe invece più prudente attuare interventi di prevenzione e promozione della salute, rivolti ai soggetti a rischio. Accade di frequente però che, a causa dei tagli nella spesa sanitaria, i bambini possano non ricevere un intervento precoce: i servizi di logopedia, spesso al collasso, difficilmente riescono ad accogliere bambini di età inferiore ai tre anni.

In tale contesto un’alternativa interessate è fornita dai cosiddetti interventi “indiretti”, centrati sulla famiglia, particolarmente indicati per bambini di età compresa tra i due e i tre anni con ritardo di linguaggio non associato a fragilità in altri domini (es.: cognitivo, motorio, socio-pragmatico). Gli Interventi mediati dal genitore, ampiamente noti in letteratura per la loro applicabilità nell’ambito delle disabilità e dei disturbi autistici, prevedono che quest’ultimo sia guidato dal clinico, opportunamente formato, mediante incontri di Counseling.

La validità di tali interventi per il potenziamento delle competenze comunicativo – linguistiche è dimostrata da diversi studi di rilevanza nazionale e internazionale: in Italia possiamo menzionare a questo proposito il Modello INTERACT di Bonifacio e Hvastja Stefani (2010) e Oltre il Libro di Girolametto e colleghi (2017). All’interno della pratica logopedica, questa metodologia mira a dare al famigliare competenze e conoscenze tali da consentirgli di divenire “agente” dell’intervento, capace quindi di intervenire attivamente nei processi di acquisizione delle competenze linguistiche e comunicative del proprio bambino.

Come può un genitore “sostituirsi” al terapista, non si rischia di confondere i ruoli? In realtà l’intervento prevede che ci sia un vero e proprio “lavoro di squadra”: il logopedista mette a disposizione le proprie conoscenze teorico-pratiche per guidare il genitore che è già naturalmente punto di riferimento, modello e guida per il figlio; ciascuno quindi, nel rispetto del proprio ruolo, contribuisce alla riuscita del percorso mediante un’intensa collaborazione.

Includere i genitori negli interventi precoci è inoltre un modo economicamente conveniente per renderli intensivi e generalizzabili, rispetto agli interventi eseguiti esclusivamente dal professionista: l’imput linguistico e lo stile comunicativo del genitore rivestono un ruolo cruciale nello sviluppo del bambino, per tali ragioni è particolarmente proficuo fornire una guida e un sostegno alla famiglia, operando in sinergia.

Si pensi a quanto ciò possa risultare utile per le fasce di popolazione che vivono una condizione di svantaggio socio-culturale. L’intervento mediato dal genitore può essere condotto in gruppo, ciò consente di raggiungere contemporaneamente diverse famiglie e di sostenere così lo sviluppo del linguaggio in bambini a rischio per i quali oggi non è previsto alcun intervento, sia per l’età precoce, sia per l’assenza di un inquadramento diagnostico.

Seguendo il modello bio-psico-sociale, infatti, la presa in carico non dovrebbe rivolgersi esclusivamente a quei bambini che presentano un disturbo conclamato, ma dovrebbe riguardare anche coloro che mostrano condizioni di rischio mediante l’offerta di interventi di prevenzione e promozione della salute. Diviene importante quindi programmare una riorganizzazione dei servizi clinico – sanitari territoriali per la prima infanzia, prendendo in considerazione nuovi modelli di presa in carico, differenziati sulla base delle caratteristiche del singolo bambino e del contesto familiare, in sintonia con le linee programmatiche indicate dall’OMS (in merito alla definizione di salute) e con le politiche di intervento del DSM-5.

E’ possibile proporre questo tipo di intervento durante questo periodo di emergenza COVID-19? Nei mesi del lockdown, nel rispetto delle norme anticontagio, sono stati interrotti quasi tutti gli interventi che erano svolti in presenza. In tempi rapidissimi la Federazione Logopedisti Italiani – FLI, in collaborazione con le Commissioni d’albo dei logopedisti degli Ordini dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica, delle Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione – TSRM PSTRP ha pubblicato le linee guida per l’esercizio dell’attività logopedica durante la pandemia.

Per quanto concerne l’intervento logopedico rivolto ai bambini più piccoli o ai pazienti con disabilità più severe veniva consigliato per l’appunto il Counseling rivolto ai genitori da erogare “a distanza”, cioè da remoto. 

Mediante la telepratica è possibile condurre i colloqui utilizzando gli strumenti tecnologici disponibili (PC, tablet o smartphone), la connessione  Internet e le piattaforme digitali (es.: Skype o Zoom); per gli interventi indiretti, il logopedista può monitorare il lavoro svolto a casa, attraverso l’invio di video realizzati dal genitore e suggerire man mano modifiche e correzioni.

Tale metodologia è risultata particolarmente valida per dare continuità agli interventi abilitativi già in corso e per l’accoglienza di nuovi ingressi, tanto che in diversi casi essa è tuttora in corso.  

Questa modalità di lavoro apre nuovi orizzonti alla pratica logopedica che, attraverso gli Interventi mediati dal genitore allarga il suo raggio di azione andando a raggiungere la famiglia e l’ambiente domestico, contesto naturale all’interno del quale naturalmente il bambino cresce e si sviluppa. In questo particolarissimo periodo storico, durante il quale l’utilizzo dei dispositivi di sicurezza e le norme per il distanziamento sociale possono rendere difficile il lavoro del logopedista con i bambini più piccoli o che vivono condizioni di disabilità più importanti, l’intervento mediato dal genitore in presenza o da remoto può costituire una metodologia efficace e sicura che merita di essere meglio conosciuta e diffusa.

Articolo a cura di Valentina Minelli  (Logopedista FLI – Commissione d’Albo dei Logopedisti – Ordine TSRM PSTRP di Foggia)                                    

Redazione

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