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Foggia non dimentica Franco Mancini, il grande portiere di Zemanlandia

Il 10 ottobre 1968 nasceva uno dei giocatori più importanti dello storico Foggia di Zeman, l’indimenticabile e indimenticato Franco Mancini, all’anagrafe Francesco Mancini. Nove anni fa, il 30 marzo 2012, ci lasciava uno dei protagonisti degli anni d’oro di “Zemanlandia” e giocatore entrato nelle grazie dei tifosi rossoneri.

L’allenatore boemo lo aveva fortemente voluto con sé e lui aveva accettato la sfida, entusiasta di poter ritrovare il mister che aveva reso grande il Foggia grazie a un calcio-spettacolo che fece sognare a lungo tifosi e appassionati. Come un maestro con il suo pupillo, Zeman aveva lanciato Mancini esaltandone le doti in un ruolo che rivestiva alla perfezione.

L’estremo difensore era in grado di accorciare la squadra giocando alto, uscendo dall’area di rigore e spesso giungendo sulla trequarti non senza suscitare qualche mugugno da parte del pubblico, sempre pronto a richiamare la sua attenzione almeno fino a quando la porta restava pericolosamente scoperta.

Ma Franco era coraggioso: non temeva un veloce contropiede o un eventuale gol da fuori area, anzi, seguiva vigile ogni azione senza mai perdere di vista il movimento degli avversari. Un portiere esuberante, abile tra i pali e capace di usare i piedi non soltanto per rinviare ma addirittura per dribblare, a tal punto da essere definito come “un libero coi guantoni”.

Impossibile dimenticare quando, durante un Foggia-Milan dell’ormai lontano campionato di Serie A 1991/1992, tentò un tunnel ai danni di un “tale” Marco Van Basten. Per queste abilità è stato in più occasioni paragonato a José René Higuita, portiere colombiano divenuto celebre soprattutto per interventi spettacolari come la “parata scorpione” e per alcune uscite da brivido.

Le stesse che spingevano il portiere rossonero a compiere prodigiosi gesti atletici specialmente quando, per strappare il pallone a un attaccante anticipandolo, occorreva una buona prontezza di riflessi accompagnata da una notevole abilità tecnica.

Insomma, un giocatore che osava, difendendo la rete senza che le gambe gli tremassero. “Era un ragazzo speciale”, ricorda il suo ex compagno di squadra e amico Ciccio Baiano, descrivendolo come una persona discreta e di poche parole, ma capace con la sua personalità di mettere d’accordo tutti.

Alle parole preferiva le parate, per questo nello spogliatoio gli era stato assegnato il soprannome di “Orso”, eccetto quando- da vero leader -riusciva a far saggiamente sentire la propria voce a sostegno della squadra.

Inoltre, il giovane dai voluminosi ricci castani aveva stabilito un profondo legame affettivo con i propri supporters, senza mai saltare il saluto sotto la curva prima del fischio d’inizio e stipulando un’unione eterna fondata sul rispetto reciproco.

Fuori dal rettangolo verde, invece, veniva ricordato per la sua passione per la musica. Suonava la batteria in una piccola band e amava ascoltare la musica reggae di Bob Marley, le cui canzoni lo accompagnavano durante il quotidiano tragitto verso lo Zaccheria.

Le gesta di Mancini sono rimaste impresse nelle menti dei tifosi che hanno avuto il privilegio di vederlo giocare e, oggi, rivivono stampate sulle bandiere che inneggiano al suo nome.

Redazione

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