L’evoluzione (o involuzione) dei BTP: da strumento di risparmio a titoli speculativi

Uno strumento finanziario, più di altri, è rimasto ancora nel cuore degli italiani: i titoli di stato. D’altro canto, questo asset ha rappresentato, per un lungo periodo della nostra storia, un porto sicuro per i cittadini, che vedevano rivalutati, grazie ad essi, i propri risparmi in modo piuttosto significativo.
Lo ricorderanno molto bene coloro che vi hanno investito nei favolosi (o presunti tali) anni ‘80 i propri risparmi, rivelandosi in alcuni casi fedeli alleati delle famiglie ad acquistare una casa piuttosto che permettersi una vita spensierata.
Rendimenti storici dei BTP: dal 1992 una lenta ed inesorabile discesa
Un trend, però, che non si è arrestato almeno sino alla metà degli anni ‘90, con i rendimenti degli stessi a doppia cifra percentuale. La migliore dimostrazione si può ottenere guardando l’andamento del nostro BTP decennale, lo stesso titolo che, paragonato all’omologo bund tedesco, determina l’ormai noto, e temuto, spread.
Negli ultimi trent’anni, il picco del rendimento si è registrato nell’ottobre del 1992, quando il decennale toccò il rendimento del 14,42%: un record che al giorno d’oggi pare difficilmente raggiungibile, se non in un caso di conclamato default del nostro paese.
Un paragone, in tal senso, lo può fornire con quanto avvenuto nel 2011, un’annata, ahinoi, tristemente nota per la grande crisi economica e finanziaria che si era imbattuta sull’Italia.
I sacrifici richiesti ai cittadini italiani, disciplinati nel famoso decreto “Salva-Italia”, furono significativi. E alcuni cognomi come Monti e Fornero albergano ancora nella mente degli italiani, anche se gli stessi non furono di certo i principali responsabili della crisi, le cui colpe sono da addebitare, semmai, alla classe politica dei precedenti decenni.
All’epoca, il nostro spread schizzò alle stelle, al punto che il più noto quotidiano finanziario del paese uscì con un titolo che, meglio di qualunque altro, rendeva bene l’idea della situazione in cui si infilò il nostro paese:” Fate Presto!”.
I giorni antecedenti all’insediamento del governo Monti, il rendimento del nostro decennale raggiunse il 7% di rendimento, un dato che non si registrava dal 1997 e che ad oggi non è stato più raggiunto.
In una situazione d’emergenza, quindi, il rendimento del BTP decennale era inferiore del 50% rispetto alla cosiddetta “epoca d’oro” italiana.
BTP, da porto sicuro a strumento speculativo
Al di là di una valutazione sui rendimenti del decennale degli ultimi trent’anni, stupisce come l’approccio ai titoli del debito sovrano sia totalmente mutato da parte dei risparmiatori del Belpaese.
Un tempo, infatti, la maggior parte dei cittadini tendeva a sottoscrivere BOT e BTP per mantenerli, salvo imprevisti, fino alla loro naturale scadenza. Il titolo di stato, di conseguenza, veniva percepito come una vera e propria forma di risparmio, in grado di garantire un flusso cedolare particolarmente invitante ed integrare gli emolumenti percepiti dai cittadini.
Uno scenario, quest’ultimo, che è venuto meno ormai da diverso tempo, al punto che moltissimi risparmiatori acquistano BTP con un chiaro orizzonte temporale di breve periodo, al di là della scadenza effettiva dello stesso.
Analizzando quanto avviene nelle piattaforme finanziarie, si può notare come svariati trader acquistino BTP in periodi di forte tensione del nostro debito sovrano, per poi rivenderlo non appena le acque si sono calmate: la cedola offerta, di fatto, è passata in secondo piano.
Acquistare o vendere titoli di stato, come spiega in maniera dettagliata questa guida al tradingonline italiana, in alcuni periodi ha assunto un’operatività similare a quella del mercato azionario, dove le cosiddette operazioni “mordi e fuggi” la fanno da padrona.
Terminologie come “take profit” e “stop loss”, decisamente care a chi opera in strumenti finanziari ben più complessi ed articolati rispetto al mondo dei bond sovrani, sono diventati familiari anche a chi effettua operazioni di compravendita nei nostri titoli di stato.