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Book Reporter #6: “Umami” e il suo puzzle di storie al sapore croccante di mais

Book Reporter è la nuova rubrica di Foggia Reporter dedicata ai libri. Recensiremo un libro al mese, cercando di incuriosirvi il più possibile e di raccontarvi a nostro modo il mese attraverso la lettura di un libro da noi scelto. Questo progetto si svolge in collaborazione con la libreria Kublai – Libri. Cibi. Incontri di Lucera. Che siate o meno assidui frequentatori di librerie o biblioteche potete dare un’occhiata al nostro articolo che verrà pubblicato alla fine di ogni mese per darvi di volta in volta consigli di lettura.

Giugno sguscia via velocemente con il suo caldo che tanto abbiamo desiderato ma che abbiamo anche tanto detestato in quei pomeriggi in cui l’afa ci ha fatto compagnia fino al tramonto. Mettiamo su un vecchio disco di Gino Paoli e mentre “Sapore di sale” risuona nella stanza rispolveriamo bikini che non ci entrano più, studiandoci allo specchio e ripetiamo per l’ennesima volta che (anche) quest’anno ci siamo ricordati troppo tardi di iniziare la dieta. I tormentoni estivi iniziano a sgomitare in radio e diventano prepotentemente le colonne sonore delle nostre lunghe giornate fatte di tè freddi e ventilatori. L’estate è iniziata, e nella nostra borsa da mare, tra creme, occhiali da sole e “schiscette” con la frutta tagliata a cubetti, non può certo mancare un buon libro da leggere sotto l’ombrellone. Per questo mese vogliamo proporvi un libro dal sapore fresco e dolce, da assaporare pagina dopo pagina, accarezzati dalla brezza marina.

Stiamo parlando del primo romanzo della scrittrice messicana Laia Jufresa, classe 83, che dopo aver scritto racconti pubblicati in varie antologie e riviste, ed essere stata selezionata nel 2015 tra i migliori venti scrittori messicani under quaranta nell’ambito del progetto “Mexico20”, ha deciso di iniziare a scrivere romanzi e lo ha fatto portando la sua terra sulle pagine di un meraviglioso libro uscito lo scorso mese ed edito da Sur, Umami.

“Umami”, il titolo del libro, è una parola giapponese che letteralmente si traduce con “saporito” e che tenterebbe di descrivere il quinto gusto. Dopo l’amaro, il dolce, il salato e l’aspro, c’è infatti questa strana parola, una miscela di sapori che le nostre papille percepiscono quando mangiamo cibi altamente proteici. Cinque gusti così come sono cinque gli alloggi di Villa Campanaro, un piccolo comprensorio di villette nell’afosa e calda Città del Messico. C’è ad esempio Casa Amaro in cui vive Marina, una giovane pittrice che ama inventare i colori, così c’è ad esempio il “rosanto”, che sarebbe il colore dei fiori dell’amaranto e il “tendaleno” ovvero la luce multicolore che viene filtrata sotto le tende del mercato. C’è poi Casa Acido abitata da Pina e suo padre, Casa Salato in cui ci sono i musicisti Linda e Victor e i loro figli, tra cui l’adolescente Ana (protagonista del romanzo, intenta a mettere su un orticello), Casa Dolce che ospita una piccola accademia di musica e infine Casa Umami, una piccola villetta abitata dall’antropologo vedovo Alfonso.

La scrittrice ci svela storie intime di un puzzle di personaggi che si ritrovano a vivere in un Messico caldissimo, contradditorio e problematico ma allo stesso tempo affascinante con i suoi colori e suoi sapori. La storia è strutturata in quattro parti, suddivise a loro volta in cinque capitoli in cui, di volta in volta, ognuno dei protagonisti diventa la voce narrante del romanzo raccontando le vicende dal suo punto di vista.

Tante vite al gusto di papaia che si snodano riga dopo riga trascinandoci in un microcosmo, quello di Villa Campanaro, creata da Alfonso (Alf) dopo aver risistemato un’antica proprietà. Un affresco di storie, dolorose e malinconiche, che segna la vita dei buffi e grotteschi protagonisti che la Jufresa ci presenta con ironia e con un tocco di colore anche quando questi devono fare i conti con la sofferenza.

Il filo rosso del romanzo è proprio il dolore, un dolore velato e nascosto che pur si scopre pagina dopo pagina e che lacera i personaggi che hanno perso una persona amata. È questo il caso infatti di Alf, voce narrante della terza parte del romanzo, che non riesce a tener lontani i ricordi della moglie ormai morta, anche quegli episodi più banali che noi definiremmo “quotidiani”, ma che dopo un distacco così forte sembrano essere per lui flash preziosi da custodire nella memoria.

“Noe e io siamo sempre stati d’accordo; quando non eravamo d’accorso, dopo poco, ci passava. Ci gridavamo addosso, lei adorava sbattere porte, io adoravo prendere la giacca e andare a farmi un giro, e poi basta. Tutto passava, tranne ora”.

Sarà proprio Alfonso a spiegare nel libro il significato di “umami”, ossia quel tocco “magico” che rende un qualsiasi piatto degno di essere chiamato tale. È insomma quel sapore in più che ci solletica le papille gustative e rende tutto ancora più buono.

“L’umami inizia in bocca. Inizia al centro della lingua, si attiva la salivazione. Si risvegliano i molari, vogliono mordere, hanno bisogno di movimento. Non poi così diverso, a dire il vero, anche se in proporzioni più modeste, dal movimento dei fianchi durante il sesso: in quel momento, l’unica cosa da fare è obbedire al proprio corpo, e il corpo sa cosa fare. Mordibile non è una parola, ma masticabile non mi piace. Masticabile si dice alla vitamina C in compresse. Mordibile mi sembra più ad hoc, è un capriccio, qualcosa di peccaminoso o, come direbbe Agatha Christie: delish. […] A essere precisi, forse l’umami non inizia in bocca, ma con la vista, con la voglia”.

L’umami è il peperoncino sugli spaghetti all’olio, è lo zucchero nel caffè, è il sale sulle patatine, è la panna sul gelato, è il desiderio di aggiungere qualcosa in più ad un piatto, quel qualcosa che i personaggi del romanzo cercano di aggiungere alle loro vite.

E così, in una calda estate, cinque persone, nel loro piccolo mondo, cercano di trovare il loro umami per riuscire a combattere i dolori e le paure più dolorose. Umami significa quindi sforzarsi di vivere al meglio ogni istante, vivere senza riserve, nonostante i mostri che siamo costretti a combattere ogni giorno e le difficoltà di un passato che ci pesa sulle spalle come un macigno.

 

 

 

Annarita Correra

Mi chiamo Annarita Correra, ho 28 anni, sono una giornalista pubblicista, una copywriter, content creator e cantastorie. Credo che la bellezza salverà il mondo e per questo la cerco e la inseguo nella mia terra, la più bella del mondo. L’amore per la letteratura mi ha portato a conseguire la laurea triennale in Lettere Moderne e quella magistrale in Filologia Moderna. Ho collaborato con riviste online culturali, raccontando con interviste e reportage le bellezze pugliesi. La mia avventura con Foggia Reporter é iniziata cinque anni fa. Da due anni curo la linea editoriale del giornale, cercando di raccontare la città e la sua provincia in modo inedito, dando voce e spazio alla cultura e alle nostre radici. Scrivo e creo contenuti digitali, gestisco la pagina Instagram del giornale raccogliendo e raccontando le immagini più belle delle nostra terra.

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