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L’antica tradizione della Quarantana in Capitanata, la bambola vestita a lutto che segna la fine del Carnevale

Roseto Valfortore – “E’ morto il Carnevale e non si piange più”, un proverbio che sopravvive ancora, soprattutto nell’entroterra pugliese. Un detto che segna il confine tra le tristezze dell’anno trascorso e l’inizio di un nuovo anno ancora da scrivere, con l’ottimismo e la speranza che possa essere propizio.

La morte, la fine del Carnevale, viene ancora testimoniata, in alcuni paesi, dalla Quarantana, appesa ai balconi, alle pareti di casa o dei negozi. Una bambola, un fantoccio, che scandisce il tempo di preparazione alla Pasqua.

La Quarantana è una donna brutta, con un fazzoletto nero in testa, il fuso e la conocchia tra le mani e una patata dalla quale pendono sei penne nere e una bianca di gallina. Il fuso e la conocchia indicano la laboriosità delle donne, dedite alla lavorazione della lana, e il trascorrere del tempo che anticamente era rappresentato da Cloto che tesseva il filo.

Vestita a lutto, la Quarantana viene considerata la vedova di Carnevale, o l’immagine della meditazione sulla morte di Cristo in tempi di Quaresima. La tradizione vuole che ogni domenica di Quaresima i giovani debbano estrarre una penna nera, e per ultima quella bianca, nel giorno di Pasqua.

Anche Roseto Valfortore nel periodo di Quaresima si riempie di queste bambole.

Redazione

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