Accadde oggi, 7 maggio 1676: ad Ischitella nasce il filosofo illuminista Pietro Giannone
La Capitanata ha dato i natali a grandi nomi della storia italiana e non solo. Tra questi bisogna ricordare il filosofo, storico e giurista Pietro Giannone, uno tra i massimi esponenti dell’Illuminismo italiano.
A Foggia gli è stata dedicato un viale e una scuola superiore. Quante volte siete passati per Corso Giannone a Foggia? Sicuramente tantissime, essendo una delle arterie principali della città.
Vi siete mai chiesti chi fosse Pietro Giannone? Scopriamolo insieme scavando nella sua storia.
Giannone nacque il 7 maggio 1676 da una famiglia di avvocati ad Ischitella, un piccolo comune del Gargano, in provincia di Foggia.
Pietro, non appena diciottenne, lasciò il piccolo comune di Ischitella per proseguire gli studi a Napoli, presso la rinomata facoltà di Giurisprudenza del capoluogo campano.
Profondamente affascinato dalla filosofia, durante gli studi, entrò in contatto con personaggi del calibro di Giambattista Vic e Gaetano Argento. Il suo temperamento, gli causò diverse beghe con le idee ecclesiastiche, tanto che fu costretto a rifugiarsi a Vienna presso la corte degli Asburgo.
Qui l’imperatore Carlo VI sovvenzionò i suoi studi, permettendogli di diventare una tra le menti più argute dell’illuminismo italiano.
La Chiesa, purtroppo, continuò nel tentativo di ostacolare le sue pubblicazioni e dunque Giannone, dovette abbandonare l’idea di un ritorno a Napoli.
Fu costretto a stabilirsi in pianta stabile al nord e scelse Venezia come città dove vivere, merito di un posto da consulte giuridico presso la Serenissima.
Nel 1735 il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico.
Dopo aver girovagato per l’Italia giunse a Ginevra, patria del calvinismo, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale Il Triregno che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura (1º aprile 1736, giorno di Pasqua) in un villaggio della Savoia.
Rimasto nelle prigioni sabaude per molti anni (l’ultima delle quali fu la fortezza-carcere di Torino dove rimase prigioniero per ben dodici anni), fu costretto a firmare un atto di abiura (1738) che non gli valse tuttavia la libertà.
Infatti, dal dicembre 1738 fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi; vi rimase fino al 1744 per essere poi trasferito.
Morì nella prigione del mastio della Cittadella di Torino il 17 marzo 1748, all’età di 72 anni.
