Marco Cappato a Foggia: “Aiutare DJ Fabo? Un dovere!”

“Aiutare DJ Fabo? Un dovere!”. Si apre così il nostro incontro con Marco Cappato; incontro perché intervistare è una cosa, ascoltare un racconto, una vicenda lontana dalla quotidianità di chi non ha vissuto drammi del genere, è tutta un’altra storia…
Dietro le quinte della sala dove Marco ha presentato poi il suo libro, “Credere, Disobbedire, Combattere” (Rizzoli, 2017), abbiamo scelto di non usare il microfono: è una chiacchierata, pacata e informale, è la testimonianza di chi ha avuto il coraggio di “disobbedire” per aiutare il prossimo, facendosi carico di tutte le conseguenze. Cappato meritava di essere ascoltato guardandolo negli occhi.
Marco raccontaci della vicenda che ti ha reso protagonista in questi ultimi mesi: cosa ha comportato per te accompagnare DJ Fabo nel suo ultimo viaggio e come hai vissuto quel momento, consapevole di aver contribuito a realizzare quello che è stato il suo ultimo desiderio
“Come un dovere, da un certo punto di vista perché in questi casi non si tratta di quello che ‘io farei’ o di quello che ‘io avrei fatto’. Ti trovi di fianco ad una persona che sta soffrendo e che vuole essere curata, è istintivo fare tutto il possibile perché stia meglio, perché soffra di meno. Purtroppo la sofferenza di Fabo non era una sofferenza alla quale ci fosse un rimedio possibile. Quindi la sua richiesta, che era quella di sospendere quella sofferenza nell’unico modo possibile per lui, cioè togliendosi la vita in modo dignitoso, andava ascoltata e bisognava aiutare a farlo perché lui era immobilizzato e cieco quindi non poteva in nessun modo farlo da solo. L’emozione c’è stata dopo, quando si capisce di aver aiutato una persona a smettere di soffrire ascoltando la sua volontà, ma in quel momento, in quegli istanti, in quei giorni, si è trattato semplicemente di aiutarlo a fare quello che lui voleva”.
Perché il caso di Fabo differiva da altri casi, come quello di Welby? Perché è dovuto recarsi in un altro paese?
“Da un punto di vista morale, a mio avviso, non cambia nulla. Welby ha ottenuto di morire sospendendo le terapie, staccando il respiratore: è morto in pochi minuti perché non aveva autonomia polmonare. Fabo avrebbe potuto seguire la strada di Welby, in modo legale nel nostro paese, ma avendo autonomia polmonare magari sarebbe morto dopo molti giorni, costringendo la mamma che gli stava accanto di dover controllare se ‘finalmente’ era morto. Una strada orribile che ha preferito evitare e quindi è stato costretto ad andare in Svizzera per ottenere la stessa cosa ed è questo che non va nella legislazione italiana: la costituzione riconosce il diritto a sospendere terapie anche vitali ma non riconosce il diritto di essere aiutati a morire in un modo più ‘attivo’ come si può fare in Olanda, in Belgio o in Svizzera. Penso che sia il tempo anche per l’Italia di consentire alle persone di decidere sulla propria vita ed anche sulla propria morte”.
“Credere, Disobbedire, Combattere” è il libro in cui racconta di questa vicenda, pubblicato da Rizzoli; qual è il messaggio che vuole comunicarci?
“Che bisogna cambiare le leggi, togliere lo Stato dove non serve: lo Stato non deve avere il compito di dirci cosa possiamo e cosa non possiamo fare sul nostro corpo, sulla nostra vita. Dobbiamo, invece, avere lo Stato dove serve! Nell’assistenza, nell’informazione, nella conoscenza, nel diritto di conoscere le cure. Spesso veniamo tenuti nell’ignoranza degli ‘Affari di Stato’, questo è sbagliatissimo e, grazie anche alla disobbedienza civile, possiamo smontare lo Stato proibizionista, lì dove non serve, è rimontarlo al servizio dei cittadini e della conoscenza per i cittadini”.