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“Porto con me il ricordo di un’esperienza assurda”, la foggiana Anna Maria racconta la sua battaglia contro il Covid

Foggia – Ci sono storie che mettono i brividi, storie che ci fanno riflettere sull’importanza di ogni nostro istante e sulla bellezza della quotidianità, storie che iniziano con una lacrima e finiscono con un grande sorriso carico di gioia e di entusiasmo per nuove avventure. Questo il bellissimo sorriso di Anna Maria Liscio, giovane foggiana guarita dal Covid-19.

Anna Maria ha raccontato la sua storia in un breve video di TikTok lasciando mostrando, giorno dopo giorno, la sua battaglia contro un nemico meschino e invisibile che le ha insegnato a non arrendersi.

La felicità che traspare dalla sua ultima telefonata nella quale le hanno comunicato l’esito del secondo tampone negativo riempie i cuori di gioia.

Condividiamo con voi il post che Anna Maria ha voluto condividere sui social per raccontare a modo suo ciò che le è successo da quando ha contratto il Coronavirus al meraviglioso giorno delle dimessioni dal Policlinico Riuniti di Foggia.

Essere positivi non significa essere felici tutto il tempo ma sapere che anche nei giorni difficili ce ne sono altri migliori che stanno arrivando. Così recita il biglietto con cui ho salutato i miei genitori e tutti gli altri amici del reparto dopo 45 giorni di ricovero.

Il 22 aprile ho scoperto di essere positiva al Coronavirus. E con me anche i miei genitori. Un fulmine a ciel sereno nella monotonia della quarantena. Ho trascorso giorni di pianti, frustrazione, ansia, paura, impotenza rispetto a un virus il cui decorso è tanto incognito quanto temibile.

Quando ho saputo che avremmo dovuto ricoverarci perchè le condizioni di salute dei miei genitori non permettevano più di restare a casa, ho realizzato appieno quello che stavamo vivendo.

Mio padre, medico, contagiatosi a lavoro, metteva a rischio la propria salute e quella dei suoi cari per onorare ogni giorno il giuramento di Ippocrate: curare e tutelare la salute altrui. Eppure sin dal primo giorno di ricovero ho vissuto una serenità e una fiducia inaspettate.

In quel momento ho compreso che dovevo farmi coraggio e che le armi migliori per affrontare tutto questo sarebbero state solo la fede e l’ottimismo.

Lo dovevo ai miei genitori che non stavano bene e in un mio sorriso avrebbero dovuto ritrovare la speranza, ai miei fratelli che lontani chilometri, nelle mia parole avrebbero cercato un po’ di rasserenamento alla loro apprensione.

Anche in un momento così difficile, mi ritengo tanto fortunata. La vicinanza che ho percepito dalle persone che ci vogliono bene è stato il motore per affrontare quei giorni in ospedale.

L’infinità di preghiere ricevute, la considero la più profonda dimostrazione di affetto. Un ringraziamento dal profondo del cuore va a tutto il personale del reparto di malattie infettive e del post-covid del d’avanzo: medici, infermieri, oss che svolgono in una situazione di così grande emergenza, il loro lavoro con una dedizione e un impegno encomiabili.

Ogni giorno, a direttissimo contatto con il virus, convivono con la paura di ammalarsi e nonostante ciò lo affrontano con il loro ottimismo, i loro sorrisi, che se non avessi provato sulla mia pelle, difficilmente avrei potuto dare un significato alla parola ‘eroi’ .

Come dimenticare la mia insostituibile compagna di stanza, la dottoressa Angelarosa, che in ogni giorno condiviso tra quelle quattro mura, mi ricordava che il nostro obiettivo era uscire da lì.

E anche quando eravamo in reparti diversi non ha mai smesso di supportarmi e di inondarmi d’affetto. Non le sarò mai grata abbastanza. Le pizze e i cornetti che mi faceva arrivare, anche mentre era in isolamento, sono l’unico motivo per cui non ho perso 10 kili nutrendomi di minestrine e verdure inguardabili.

Superata anche la fase acuta della malattia, abbiamo scoperto forse l’aspetto più logorante e deprimente di quella situazione: l’attesa. Ogni settimana ci sottoponevamo al tampone e puntualmente, nonostante clinicamente stessimo bene, risultava sempre positivo.

Ho vissuto la speranza di un negativo annientata da un tampone nuovamente positivo il giorno successivo. E così via per settimane. Quarantacinque giorni possono sembrare sterminati eppure ho conosciuto persone che sono state ricoverate per settanta giorni.

Nella disperazione che leggevo nei loro occhi, automaticamente pensavo a quanti in casa si lamentassero per il lockdown e quanto in confronto sembrasse insignificante il sacrificio di indossare una mascherina o mantenere il distanziamento sociale.

Ho impresse nella memoria le urla strazianti di una bambina di cinque anni mentre le facevano il tampone o l’immagine di una salma di qualcuno che non ce l’aveva fatta che veniva trasportata via.

Quando siamo stati trasferiti al reparto post-covid del d’Avanzo, ho incrociato in quell’ultima settimana tante di quelle esperienze che mi hanno insegnato quanto una chiacchierata, una risata, una parola di conforto amplificassero smisuratamente la loro straordinarietà in quei giorni di isolamento dalle famiglie e dagli affetti.

Porto con me il ricordo e gli insegnamenti di un’esperienza assurda. Quando potremo finalmente rivederci, riabbracciare i miei genitori e i miei fratelli sarà realmente l’emozione più bella della mia vita.

Intanto mi aspettano altri giorni di isolamento domiciliare. Non è ancora finita, ma tranquilli…Tornerò presto a contagiarvi… di felicità!”

Redazione

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