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Coronavirus, un anno fa l’Italia entrava in lockdown: la distopia che non immaginavamo di dover vivere

Un anno fa, il 9 marzo 2020, l’Italia entrava in lockdown. Mai ci saremmo immaginati di dover affrontare un anno così difficile come quello appena trascorso, mai avremmo pensato di dover imparare a convivere con un nemico invisibile che ha stravolto la nostra vita.

Era primavera e noi ci preparavamo a conoscere il Coronavirus e a vivere uno dei momenti più complicati e tragici dal Dopoguerra.

Paura e speranza si sono mescolate tra loro giorno dopo giorno in questi lunghi e difficili mesi. Abbiamo cantato sui balconi mostrando orgogliosi il Tricolore, abbiamo trascorso Pasqua e Natale lontani dalle nostre famiglie scoprendo la potenza della comunicazione a distanza.

Le videochiamate hanno sostituito gli abbracci, le mascherine hanno nascosto i nostri sorrisi, i messaggi hanno preso il posto di un bacio quando darselo diventava impossibile.

Le strade deserte, le lunghe file ai supermercati, i ristoranti chiusi, la paura di sfiorare per strada l’altro, le serrande delle palestre abbassate, i guanti, le mascherine, i gel igienizzanti, il terrore di uscire di casa. Abbiamo vissuto mesi in una realtà distopica degna di un romanzo di Orwell o di una puntata di Black Mirror.

Abbiamo visto l’Italia colorarsi di rosso e poi tingersi a zone in arancio e giallo, abbiamo stampato e compilato decine e decine di autocertificazioni, aspettato con ansia le video conferenze dell’ex premier Giuseppe Conte e la pubblicazione dei Dpcm.

Abbiamo appeso striscioni colorati con grandi arcobaleni ai balconi, pianto, sorriso e inneggiato alla Resistenza, abbiamo vissuto la Fase 1 e la Fase 2, abbiamo scoperto le potenzialità dello smartworking, visto la tragica coda delle bare a Bergamo e il Papa lanciare messaggi di speranza da una piazza San Pietro completamente deserta.

Siamo andati a caccia di farina e lievito per sfornare pizze e focacce a non finire. Ci siamo improvvisati chef, pasticceri e pizzaioli. Ci siamo salutati con lo sguardo, poi con i gomiti e ora con il pugno. Abbiamo imparato la differenza tra una mascherina chirurgica e una FFP2, abbiamo ascoltato le testimonianze di chi lotta contro questo virus meschino ogni giorno nelle corsie degli ospedali, abbiamo visto i volti segnati dai Dpi di medici e infermieri, abbiamo scoperto la Dad e la Did, abbiamo provato rabbia e ci siamo sentiti persi.

Quello che abbiamo affrontato ci ha reso più forti, ci ha fatto riscoprire la bellezza di gesti semplicissimi come quello di abbracciare. Quanto ci mancano gli abbracci, quelli caldi e avvolgenti. Tornermo a farlo, torneremo alla normalità. Che strano parlare di normalità, eppure nell’ultimo anno è proprio quella ad essere mancata. Abbiamo vissuto la straordinarietà di un momento tragico e ora ci prepariamo, ancora una volta, ad affrontare l’ennesima sfida.

Con i vaccini la battaglia contro il Covid non è finita, è appena iniziata. Dimostriamoci uniti, non molliamo e guardiamo all’anno appena trascorso con grande rispetto. Facciamolo per chi, purtroppo, non continuerà con noi questa difficile battaglia, non dimentichiamo i grandi sacrifici fatti. La guerra non è finita.

Annarita Correra

Mi chiamo Annarita Correra, ho 28 anni, sono una giornalista pubblicista, una copywriter, content creator e cantastorie. Credo che la bellezza salverà il mondo e per questo la cerco e la inseguo nella mia terra, la più bella del mondo. L’amore per la letteratura mi ha portato a conseguire la laurea triennale in Lettere Moderne e quella magistrale in Filologia Moderna. Ho collaborato con riviste online culturali, raccontando con interviste e reportage le bellezze pugliesi. La mia avventura con Foggia Reporter é iniziata cinque anni fa. Da due anni curo la linea editoriale del giornale, cercando di raccontare la città e la sua provincia in modo inedito, dando voce e spazio alla cultura e alle nostre radici. Scrivo e creo contenuti digitali, gestisco la pagina Instagram del giornale raccogliendo e raccontando le immagini più belle delle nostra terra.

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