Cronaca

La storia di Giovanni Panunzio, che non voleva essere un eroe, ma “solo” un uomo libero

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Sono passati trentuno anni dal sei novembre 1992. Quel giorno il Consiglio Comunale di Foggia era riunito per discutere il nuovo Piano regolatore della città. Una riunione importante, per gli sviluppi socioeconomici conseguenti, e lo spazio dell’aula consiliare riservata al pubblico era gremita come nelle grandi occasioni. Tra i cittadini che assistevano alla discussione molti addetti ai lavori, tra cui un imprenditore edile poco più che cinquantenne, Giovanni Panunzio.
Panunzio è un imprenditore che si è fatto da solo. Orfano in tenera età, ha iniziato a lavorare giovanissimo come aiuto carpentiere e prima dei cinquanta anni è un imprenditore affermato. Tanto affermato da venir notato dalla mafia foggiana che, nel 1989, gli chiede un pizzo da due miliardi di lire. Panunzio non ha nessuna intenzione di cedere al ricatto e va avanti. Ma le intimidazioni e le minacce continuano ad arrivare, rivolte a lui ma anche alla sua famiglia. Panunzio non è il solo imprenditore edile preso di mira dalla criminalità in quegli anni. Nell’aprile 1988 il racket aveva ferito gravemente Eliseo Zanasi, un anno più tardi Salvatore Spezzati. Ancora un anno, e ancora un attentato ad un costruttore e questa volta ci scappa il morto: Nicola Ciuffreda viene assassinato nel suo cantiere. Ora è la volta di Panunzio. Una sera uno sconosciuto gli punta la pistola contro e tenta di sparare. La pistola però si inceppa. Da quel giorno le Forze dell’Ordine cominciano a scortarlo discretamente. Panunzio è avvilito, ma determinato. Scrive un memoriale per denunciare i suoi estorsori, con nomi, cognomi, fatti e circostanze, e lo consegna ai Carabinieri. Nel dicembre 1991, grazie a quelle rivelazioni, le Forze dell’Ordine riescono ad arrestare quattordici nomi eccellenti della malavita foggiana. Una vittoria per la giustizia, ma quegli arresti decretano la condanna a morte di Panunzio. Il sei novembre 1992, poco dopo le dieci e trenta, Panunzio lascia l’Aula del Consiglio comunale e si dirige a casa. Con la sua auto percorre poche centinaia di metri. Arriva in via Napoli, e nel tratto di strada tra viale Ofanto e via Benedetto Croce due killer in motocicletta affiancano la sua Y10 gli sparano contro. Panunzio viene colpito alle spalle e al collo. Trasportato immediatamente in ospedale vi arriverà morto. La società foggiana ha così punito l’uomo che si è ribellato, l’uomo che non ha pagato il pizzo e che si è permesso di denunciare i suoi estorsori.
La notizia del suo omicidio arriva poco prima di mezzanotte in Consiglio Comunale. Il sindaco Salvatore Chirolli lo annuncia ad una assemblea attonita e sbigottita che si affretta ad approvare il Piano regolatore. Il giorno dopo la Procura – il capo Salvatore Virzì ed i sostituti Lucianetti, D’Amelio e Carofiglio – firma quindici ordini di arresto. I nomi sono quelli del gotha della Società: Mansueto, Antoniello, Delli Carri, Spiritoso, Francavilla, Trisciuoglio. Una settimana dopo verrà arrestato Donato Delli Carri, considerato l’esecutore materiale dell’omicidio e successivamente condannato all’ergastolo. Recenti rivelazioni affermano – però – che l’esecutore materiale dell’omicidio sia un altro, e che Delli Carri abbia mantenuto il silenzio da buon manovale della Società.
Quel giorno di trenta anni fa la Città di Foggia è diventata adulta. Per anni aveva convissuto con la mafia, e per anni l’aveva sottovalutata. E invece era una mafia rozza e feroce, secondo la definizione dell’ex procuratore nazionale antimafia De Raho. Una mafia con la quale gli imprenditori hanno imparato a convivere. Nel 2017 il Consiglio superiore della magistratura ha evidenziato “un atteggiamento di volontaria sottomissione al fenomeno mafioso” che si manifesta nella ricerca in prima persona delle persone legate alla Società Foggiana e alla mafia garganica per pagare il pizzo “anticipandone in tal modo la richiesta”. Un comportamento figlio della rassegnazione. Quella rassegnazione a cui si non si è mai piegato Giovanni Panunzio, che non voleva essere un eroe, ma “soltanto” un uomo libero.

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