Storie di successo

Gianna Fratta: la sinfonia della vita

Oggi abbiamo il piacere di intervistare Gianna Fratta, una nostra concittadina direttore d’orchestra e pianista. Nel 2016 è stata la prima donna a dirigere il Concerto di Natale nell’aula del Senato della Repubblica in Eurovisione. E’ un’eccellenza foggiana.

Come e quando è nata questa sua passione per la musica e la direzione d’orchestra?

“La passione per la musica è nata quando ero davvero una bimba, verso i sei anni. I miei genitori, per provare a farmi dormire e a stancarmi durante la giornata, mi hanno fatto fare una serie di attività, sia sportive, sia culturali, sia musicali. Dai corsi di inglese alla danza, dallo sci al nuoto, dal pianoforte a tutto quello che poteva tenermi impegnata. Ero una bambina molto vivace e dormivo poco, oltre ad essere perennemente in movimento. Tra le tante attività, la musica e il pianoforte hanno lentamente preso il sopravvento non solo sul mio tempo, ma sulla mia anima di bimba e sulla mia vita. Dopo due anni che suonavo, iniziavo a considerare il pianoforte una parte naturale e ineliminabile della mia esistenza. Per la direzione d’orchestra le cose sono andate diversamente: è stata una folgorazione immediata. Come quelle cose che ti rapiscono per sempre e da subito; a me è nato tutto dalla prima volta che ho ascoltato un’orchestra dal vivo. Avevo otto o nove anni e studiavo pianoforte al Conservatorio di musica di Como. Fu un amore fulminante. Dal suono stupendo, ma timbricamente univoco del pianoforte, ai variopinti timbri dell’orchestra e alle loro infinite combinazioni è stato un passaggio che ha letteralmente cambiato la mia vita e il mio essere. Durante tutto il concerto, non sognavo altro che stare lì in mezzo dove si trovava il direttore. Chissà, pensavo, che meraviglia deve essere stare proprio lì al centro, avvolto da tanti suoni! Uscendo dal concerto, la decisione era presa: avrei fatto il direttore d’orchestra. Ignara di tutto, feci una scelta che portai avanti con caparbietà ogni giorno della vita.”

Cos’è per lei la musica?

 

“La musica non è il mio lavoro, non solo. Non è neanche solo la mia passione, il mio cruccio, il mio pianto, il mio studio, il mio impegno, la mia dedizione completa. La musica è la mia vita, perché io la mia vita l’ho davvero dedicata a lei, in modo totale e senza risparmiarmi. E, come la vita, la musica ti dà e ti toglie, ti fa gioire e soffrire, prende tutto il tuo tempo, la tua anima, quello che sei. Succhia tutto e ti lascia a volte senza forze, a volte con tutta l’energia del mondo. La musica ti restituisce quello che le dai con una severità poco compiacente e senza mai fare sconti o regali. Ma è giusta. Giusta sempre e fino in fondo. Con lei ho un rapporto totale, vero, leale. Io non frego lei e lei, in genere, non frega me. Se, però, le tolgo anche un minimo di quanto esige, mi punisce senza aspettare e perdonare. Non potrei immaginare la mia vita senza musica; direi che sono quasi quaranta anni che non passo un giorno e un attimo senza di lei; dubito di aver mai trascorso un giorno senza suonare o senza ascoltare un pezzo, senza studiare una partitura o senza aver parlato e pensato di musica. E il bello è che mai mi sono stancata, mai ho perso l’entusiasmo, mai la quotidianità è diventata routine. A volte mi chiedo se sia un rapporto a due, o se la musica sia semplicemente uno specchio e, in realtà, non mi guidi ogni giorno ad avere semplicemente un rapporto con me stessa. Fosse anche così sarebbe stupendo.”

Ha avuto modo di girare il mondo. Conserva nel cuore il ricordo di un posto in particolare?

 

“Viaggiare è parte della mia esistenza. Ogni viaggio, come spesso dico, è un po’ un tradimento e io sono una infedele. Lascio amici per sconosciuti, la mia casa per alberghi, il cibo di ogni giorno per pietanze nuove e sconosciute e soprattutto lascio abitudini, opinioni, credenze, regole, convenzioni per nuovi mondi, nuovi luoghi, nuova gente, nuova musica. Da ogni viaggio torno diversa e, credo, migliore e ogni ritorno è bello come la partenza. Ogni luogo che ho visitato mi ha dato qualcosa, mi ha insegnato a crescere, mi ha fatto conoscere persone che hanno migliorato con la loro presenza la mia vita. Non c’è un luogo del cuore: il pianeta è il luogo del mio. I posti, le città per me non sono luoghi, sono esperienze, sono persone, sono musica, sono odori, sono pietanze e ogni luogo ha contribuito a rendermi quella che sono. Non so scegliere. Questo, dopo tutto, è il problema della mia vita. Cercare di fare tutto, vedere tutto, conoscere tutto, toccare tutto, amare tutto, pur di non rinunciare a nulla.”

Ci racconti la sua esperienza come direttore d’orchestra in Eurovisione dal Senato della Repubblica. Cosa ha provato?

 

“Ero felice; non per l’eurovisione, né perché mi trovavo in un luogo istituzionalmente importante e simbolico per il nostro Paese (soprattutto dopo l’ultimo Referendum) e neanche perché ero la prima donna su quel podio dopo venti edizioni e dopo direttori del calibro di Muti, Maazel, Oren. Ero felice ed emozionata perché avevo di fronte tanti giovani, i ragazzi dell’Orchestra Sinopoli, provenienti da tutta Italia, il Coro del Sistema dei Cori e delle Orchestre Italiane, il Coro delle Mani Bianche. Oltre cento persone dai 5 ai 28 anni. Come si può non essere semplicemente felici davanti al futuro, all’entusiasmo, alla gioia, all’emozione, alla bellezza, alla vitalità e alla purezza?”

Quali sono le sfide che ha dovuto, e che pensa dovrà ancora, affrontare?

 

“Sono state tante e di ogni tipo. Sfide culturali, sfide di genere, sfide di carattere, sfide umane, sfide musicali, sfide familiari e sfide contro me stessa. Far cadere tabù, smantellare abitudini, aprire vie, percorrere strade in salita che terminano con porte chiuse, far accettare i propri sogni abbattendo ostacoli e pregiudizi non è semplice. A volte è sfibrante. Ma quando hai un sogno che ti guida ce la fai. Le sconfitte mi sono servite ad arrivare più pronta al momento giusto; le porte chiuse mi hanno fatto tornare indietro per cercare una strada migliore. Non ho percorso scorciatoie, sono andata dritta al mio obiettivo dalla strada maestra o da quella più lunga, con umiltà e studiando senza sapere se è giorno o notte, senza compromessi e senza regole. Superate le sfide per arrivare sul podio, iniziano le sfide vere, quelle musicali e poi le tante sfide che ti impone la direzione d’orchestra. La direzione non è ciò che sembra: si crede che sia un ruolo di potere, invece è innanzitutto un ruolo di responsabilità, che condividi solo con te stessa e che ti assumi in nome della musica. Il direttore è un’isola solitaria tra due mari di moltitudini e il podio è un metro quadro difficile da gestire. Non sono successi e luci, ma strade buie e in salita che percorri con i grandi monumenti della storia della musica sulle spalle. Camminare con una sinfonia di Beethoven appiccicata addosso è come procedere con un macigno che devi consegnare al pubblico con la leggiadria di una ballerina sulle punte. Non è autorità, ma sapere tirare fuori il meglio che c’è in ognuno. Non palcoscenici, ma notti sulla scrivania a studiare senza trovare soluzioni convincenti. Ci vogliono umanità, sorrisi, energia infiniti. Non bisogna saper comandare. Non funziona. Bisogna convincere tutti a puntare lì in fondo a quello stesso, lontano, obiettivo che tu hai scelto per tutti, percorrendo la stessa strada. Riuscire ad essere un porto anche quando tu sei in mezzo alla tempesta, saper infondere sicurezza, mentre sei assalito dai dubbi, lanciare sguardi di gioia mentre ti si stanno attorcigliando le budella, infondere fiducia mentre vacilli, reagire all’imprevisto spalancando gli occhi, guardando tutti e facendogli credere che sopravvivremo fino all’ultima nota e che dopo sarà un successo. E poi ti giri e c’è l’applauso. E lì la sfida, per quella sera, l’hai vinta. L’hai vinta insieme a tutta l’orchestra, ai solisti, a quelli che ci hanno messo l’anima. Perché la bacchetta non suona e un direttore senza chi ha di fronte non può nulla.”

Quali consigli si sente di dare ai giovani che vogliono vivere con e per la musica?

 

“Di farlo, di crederci, di provarci, puntando tutto sul merito, sullo studio e sulla preparazione. Senza risparmiarsi, senza giustificarsi, senza atteggiamenti vittimistici o distruttivi. Il lavoro è poco, ma c’è. Le occasioni capitano se vivi al Nord o se vivi al Sud. Gli spazi per le persone davvero preparate ci sono. Non pensiamo mai a coloro che ci sorpassano perché hanno trovato una scorciatoia, a quelli che vedi sfrecciare perché qualcuno gli ha aperto una porta che doveva essere aperta a te, non parliamo mai e cancelliamo dalla nostra mente i raccomandati, le loro strategie, le loro tecniche. Prima o poi li saluteremo da lontano, perché il mondo ha bisogno di persone che conoscono il proprio mestiere e, se ci sono spazi per i raccomandati, è solo e sempre perché ci sono persone davvero brave che fanno il lavoro per tutti. Bisogna essere tra questi e ignorare lo sporco che ci circonda, non perché non ci sia o perché non lo vediamo, ma perché dobbiamo essere in grado di trovarci più in alto e su un piano in cui la sporcizia non possa intaccarci. Da lassù troveremo lo spazio che ci meritiamo. Chi scende a compromessi, dopo ne resta vittima. La libertà e il merito, prima di tutto.”

Chi è Gianna Fratta?

 

“Una persona felice. Una musicista.”

Chiudiamo con una domanda di rito: cos’è per lei Foggia?

 

“Foggia è la mia città, la mia casa, la mia famiglia, i miei studenti al Conservatorio, la città di Giordano, il luogo in cui, con tutti i suoi difetti, sento di voler investire tempo ed energie. Foggia è il suo cibo, così familiare, e l’incontro con occhi che conosco e che mi conoscono. E’ mia nonna e il mio pianoforte preferito. La mia casa, l’unica dove posso accendere il riscaldamento quando e quanto voglio, fosse anche agosto e fuori 30 gradi, il mio studio, i miei libri. E’ la mia storia. E quella non si cambia, dovunque scappi, dovunque vai. E’ il posto che racconta quello che sono, il luogo dove ho studiato musica, il luogo che mi ha fatto essere Gianna. Foggia è una città complessa, ma a Foggia conosco gli amici e le amiche migliori e la maggior parte delle persone che hanno contribuito alla mia felicità. Non me ne vado da qui; questa è la mia base di partenza per il mondo e la base in cui torno da tutto il mondo.”

Valerio Palmieri

Giornalista praticante, laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Foggia. Laureato in Filologia moderna con 110 e lode. Da sempre sono appassionato di scrittura e, dopo varie collaborazioni, da gennaio 2017 sono redattore di Foggia Reporter. Mi occupo principalmente di politica, eventi religiosi e interviste. Sono convinto che la comunicazione digitale sia lo strumento più efficace per attuare quella rivoluzione culturale che tanto bene può fare al nostro territorio locale e nazionale.

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