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23 anni fa veniva brutalmente assassinato Francesco Marcone

Sono passati ben 23 anni dal brutale assassinio di Francesco Marcone, direttore del registro di Foggia, ucciso la sera del 31 marzo 1995 mentre faceva rientro a casa, eppure oggi, come allora, la mafia rimane una piaga della nostra terra, non a caso l’associazione Libera ha deciso di organizzare la marcia in memoria delle vittime della mafia proprio nella nostra città.

Ci sono vivi che puzzano di morte e morti che profumano di vita. Ecco, è proprio questo il caso di Francesco Marcone, un uomo giusto, assassinato per aver svolto il suo lavoro con dedizione e profondo senso della giustizia. Oggi vogliamo ricordarlo con questo stralcio del “Sole 24 Ore” che illustra bene la figura di Marcone in quei tempi così difficili.

Francesco Marcone era un mio collega, responsabile dell’Ufficio del registro di Foggia. Il 22 marzo del 1995 presentò un esposto alla Procura della Repubblica per denunciare un giro di malaffare messo in atto da falsi “mediatori” che garantivano, dietro pagamento, il rapido disbrigo di pratiche d’ufficio. Truffe, reiterate e redditizie. Con una lettera di suo pugno, avvertì della circostanza anche tutti i professionisti della città: «L’ufficio non si avvale di figure intermediarie ma provvede alle comunicazioni ed alle notifiche direttamente ai soggetti interessati», scrisse, e commuove, a leggerlo ora, questo rassicurante burocratese che conosco bene.

La lingua dei dipendenti pubblici, spesso complicata e distante, ma che ci fa sentire protetti, devo ammetterlo; c’è la Legge dietro le mie decisioni e la Legge deve essere rispettata. Nulla di personale. Poco più di una settimana dopo questa denuncia, il 31 marzo è stato ucciso nell’androne di casa sua con due colpi di pistola alla nuca. Aveva 57 anni, una moglie e due figli. Erano le 19.10 e Marcone rientrava, tardi, dall’Ufficio portando con sé alcune pratiche che stava studiando. Perché il direttore dell’Ufficio del registro di Foggia era un funzionario scrupoloso e dedito al lavoro, anche dopo aver timbrato il cartellino. Era un uomo che voleva vederci chiaro e con i suoi occhi, un dirigente che si prendeva le responsabilità del ruolo. Studiava atti di importi miliardari e se vedeva qualcosa di sporco non faceva finta di niente.”

Così, invece, si è espressa oggi su Facebook, sua figlia, Daniela.

“Ricordi di straordinaria veridicità.
Cosa vogliamo che la memoria conservi? Come vogliamo ricordare Francesco Marcone? Siamo pronti per ricordare un uomo, uno di noi, che negli ultimi mesi della sua vita ha cercato di individuare dove il meccanismo si fosse inceppato, dove fosse la truffa, l’evasione fiscale ed il fenomeno corruttivo. Ricordarlo come il direttore di un ufficio pubblico ucciso “chissà perché e chissà da chi”, vuol dire continuare a negare giustizia e verità a lui ed a tutti coloro che continuano a svolgere il proprio lavoro denunciando le piccole e le grandi irregolarità che distruggono la nostra democrazia. Vuol dire impedire che la memoria svolga il suo compito più importante: riportare all’oggi fatti realmente accaduti, contestualizzati in modo corretto, e permettere che ciò che fatica a diventare storia scritta resti vitale. È questa la memoria sociale che rende vivi coloro che hanno perso la vita a causa della violenza di ogni tipo e che è capace di costruisce futuro. È questo che ha permesso a mio padre di camminare con noi lo scorso 21 marzo, di essere tra le 40.000 persone, di percepire la nostra volontà di esserci nonostante il vento e la pioggia. Poi mi ha vista arrabbiata perché mentre venivano letti i nomi delle quasi 1000 persone vittime innocenti c’erano persone che facevano chiasso dietro al palco, ma lui mi ha fatta voltare verso la gente che invece ascoltava, verso i ragazzi con i visi alzati, attenti e commossi. Io devo la mia forza a lui ed a chi oggi lo ricorda con l’amore che merita.”

Redazione

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