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Book Reporter #10: “L’estate muore giovane”, il romanzo d’esordio di Mirko Sabatino che colpisce come un pugno allo stomaco

Anche questo mese torna Book Reporter, la rubrica di Foggia Reporter dedicata ai libri e curata da Annarita Correra. Ogni mese vi parliamo di un libro, cercando di incuriosirvi il più possibile e di raccontarvi a nostro modo il mese ij corso attraverso la lettura di un libro da noi scelto. Questo progetto si svolge in collaborazione con la libreria Kublai – Libri. Cibi. Incontri di Lucera. Che siate o meno assidui frequentatori di librerie lasciatevi trasportare dalla curiosità e dal piacere di conoscere, pagina dopo pagina, storie sempre diverse.

Il sole splende caldo e ci accarezza i capelli mentre il vento con il suo soffio freddo e sbarazzino ci invita a richiudere quel bottone del cappotto che un attimo prima avevamo liberato dal suo occhiello. Il mese di marzo è il mese della primavera. La natura si risveglia, i mandorli e i peschi colorano le strade grigie delle città che si tingono di nuovi colori e sono avvolte da nuove e fresche essenze. La primavera è un momento di cambiamento, di transizione, tra il freddo grigiore dell’inverno e il luminoso calore dell’estate. È un po’ come l’adolescenza, un salto nel buio, tra dubbi, tensioni ed emozioni che si mescolano tra loro per dare poi il benvenuto all’età adulta.

Per questo mese vogliamo proporvi un libro che tratta il delicato tema del passaggio (fulmineo) dall’età infantile a quella adulta. Si tratta del romanzo d’esordio dell’autore foggiano Mirko Sabatino, L’estate muore giovane, edito da Nottetempo.

In 28 capitoli assistiamo ad un passaggio istantaneo dei tre piccoli protagonisti, dall’età infantile a quella adulta, senza passare però per un’età di mezzo. Un passaggio segnato da un patto di sangue che solo chi ha dodici anni sa mantenere vivo anche in situazioni che possono diventare disperate e difficili da gestire.

Leggere L’estate muore giovane significa fare un viaggio nel passato, pagina dopo pagina, e catapultarsi in un’epoca in cui avere dodici anni significava vivere pienamente ogni minuto in quel mondo su misura in cui divertirsi significava tirare qualche calcio ad un pallone, ascoltare i 45 giri di Adriano Celentano, giocare con le biglie colorate tutto il giorno e rientrare a casa solo per l’ora di pranzo quando l’odore del ragù colpisce come un pugno benevolo allo stomaco e nella corsa verso la cucina si pregusta il momento in cui si immergerà il pezzo di mollica strappato dalla pagnotta nella pentola per poi tirarlo su pesante di sugo.

Il piccolo grande protagonista del romanzo è Primo, un bambino di dodici anni e mezzo che ha perso il padre e vive con la mamma, la nonna e la sorella Viola, più piccola di lui di un anno e mezzo. Mirko Sabatino ci racconta una storia intensa e coinvolgente, molto forte, graffiante, pesante e cruda soprattutto nelle ultime 100 pagine che leggerete con un nodo alla gola tutte d’un fiato. L’odore pungente del rosmarino, il suono del calore che rimbalza sul selciato, il profumo della macchia mediterranea e il canto delle cicale che rimbomba tra i vicoli che separano le case bianche che profumano di salsedine, fanno da sfondo alle vicende di tre amici legati tra loro da un patto di fratellanza stipulato con il sangue per proteggersi a vicenda dai mali del mondo. Tre piccoli moschettieri pronti a tutto, anche a sacrificare il loro essere semplicemente dei bambini, per mantenere vivo quel vincolo “sacro” stretto in un’afosa giornata estiva del ’63.

«Ci difenderemo a vicenda “ m’infervorai. “Quando qualcuno di noi verrà colpito, direttamente o indirettamente, ci vendicheremo tutti e tre insieme»

L’estate, del 1963, muore giovane tra mura bianche e vicoli che profumano di salsedine

Nell’estate del 1963 muore il “Papa buono”, il presidente statunitense J.F. Kennedy visita per la prima volta l’Italia, Martin Luther King tiene il famoso discorso “I have a dream” e in un villaggio turistico degli Stati Uniti, una giovane ragazza detta “Baby” danza sensuali balli proibiti in una pellicola cinematografica che ha fatto la storia. In un piccolissimo e immaginario paesino del Gargano incorniciato da alte e ripide scogliere che regalano una vista mozzafiato dell’enorme distesa blu dell’Adriatico, Primo, Mimmo e Damiano, tre bambini appena entrati nell’adolescenza, con alle spalle storie famigliari complicate e dolorose, si ritrovano a dover fare i conti con l’amara e triste realtà della vita adulta.

“È proprio l’aria indifesa di queste creature a sedurre i carnefici, l’angelica fiducia del piccino che non sa dove rifugiarsi né a chi rivolgersi, a eccitare il sangue immondo del suo aguzzino”. Queste dure parole di Dostoevskij che ritroviamo ne I fratelli Karamazov e che Sabatino ha inserito, non a caso, come epigrafe prima di dar spazio alla storia, cela in sé un oscuro presagio che quella che sembra essere all’inizio una lenta e semplice storia di ragazzini ci svelerà verso il finale in un vorticoso e potente via vai di eventi che più di una volta ci lasceranno senza parole.

L’amicizia, quella pura e totalizzante, lega a mo’ di fil rouge le quasi 300 pagine di questo sorprendente e destabilizzante romanzo d’esordio. Destabilizzante, sì. È questa la parola che forse descrive meglio di qualsiasi altra questo libro. È destabilizzante abbandonare in un battito di ciglia quella dimensione adolescenziale scandita da ginocchia sbucciate, giochi, nascondigli e allo stesso tempo mille interrogativi e pensieri profondi e inconfessabili che silenziosamente conducono alla vita adulta.

L’estate muore giovane di Mirko Sabatino è estremamente realista nel suo essere spiazzante e crudele

I personaggi e le ambientazioni hanno un forte taglio cinematografico. Non ci riesce difficile immaginare di vedere sul grande schermo la scena in cui Primo, nel giorno del sesto anniversario della morte del padre, seduto sui gradini del portone, difronte al sagrato della chiesa, fissa la madre e la nonna circondate da una folla di baci e saluti ossequiosi, tenendo stretta tra le mani la lettera che il padre poco prima di morire gli aveva scritto.

«Nonna Teresa sorrise, con una tristezza dolcissima sul volto, e mi prese il viso tra le mani. “A lui non interessa se sei andato alla sua messa o no, Primo. Lui lo sa che ce l’hai sempre nel cuore”. Le sue mani erano ruvide e sapevano di candeggina. Sapevano sempre di candeggina, le mani di mia nonna. Non ho mai dimenticato quell’odore. Per me è l’odore che ha la dolcezza»

Primo, Mimmo e Damiano nell’arco di pochi giorni si ritrovano a perdere quella purezza e quel candore che caratterizzano l’ovattata età dell’infanzia e si ritrovano a tu per tu con la crudeltà del mondo degli adulti, fatto di sfaccettature brutali che si celano in luoghi sacri, vicoletti nascosti e campagne. La perdita dell’innocenza in alcuni casi può coincidere con un senso di vuoto e di caos che stravolge del tutto chi la vive ed è costretto ad abbandonare i pantaloncini e le biglie per immergersi in un mondo molto più grande e meno candido. Leggendo le prime pagine avvertiamo l’esigenza dell’autore di dire e non dire, percepiamo un senso di inquietudine che ci accompagna nella lettura, pagina dopo pagina, e ci fa rimanere con il fiato sospeso nell’attesa di un imminente tragedia.

«La vita è ciò che ti capita tra la nascita e la morte. Tu scegli poco. Le persone e gli avvenimenti ti si impigliano addosso, ciechi, tenaci, e durante il percorso qualcosa resta, qualcosa si aggiunge, molto si perde, poi tutto. Nella mia vita capitarono soprattutto mio padre e mia sorella. Viola aveva un anno e mezzo meno di me, e fu soltanto per un caso, per un disguido delle cellule, che non venimmo al mondo insieme»

E mentre suona un 45 giri e scrivo queste parole ripenso al potere che ha questo libro, che con le sue 300 pagine e il suo ritmo incalzante e tagliente, riesce a penetrare nella pancia e smuovere qualsiasi emozione, anche quella che cerchiamo di nascondere. La canzone di Celentano sta per finire e di quella storia resteranno solo i fruscii della puntina sul solco. L’estate muore giovane invece non finisce, continuerò a portarmelo dentro. Delicato, commovente, suggestivo, devastante, graffiante, un libro in grado di stravolgere e lasciare senza parole in pochissime pagine. È un carico di suspense continua, che fa piangere, riflettere, provare disgusto e rabbia, graffiando dentro come pochi libri riescono ancora a fare.

Correte in libreria!

 

 

 

 

Annarita Correra

Mi chiamo Annarita Correra, ho 28 anni, sono una giornalista pubblicista, una copywriter, content creator e cantastorie. Credo che la bellezza salverà il mondo e per questo la cerco e la inseguo nella mia terra, la più bella del mondo. L’amore per la letteratura mi ha portato a conseguire la laurea triennale in Lettere Moderne e quella magistrale in Filologia Moderna. Ho collaborato con riviste online culturali, raccontando con interviste e reportage le bellezze pugliesi. La mia avventura con Foggia Reporter é iniziata cinque anni fa. Da due anni curo la linea editoriale del giornale, cercando di raccontare la città e la sua provincia in modo inedito, dando voce e spazio alla cultura e alle nostre radici. Scrivo e creo contenuti digitali, gestisco la pagina Instagram del giornale raccogliendo e raccontando le immagini più belle delle nostra terra.

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