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E’ scomparso mons. Giuseppe Casale, il vescovo antimafia

Fu a lungo sotto scorta per le sue prese di posizione contro la malavita organizzata di Foggia

Finì sotto scorta, per il suo impegno contro la mafia foggiana. Giuseppe Casale, arcivescovo metropolita di Foggia Bovino dal maggio 1998 al maggio 1999, è morto oggi, pochi mesi prima di compiere cento anni, che avrebbe festeggiato il 28 settembre. Pugliese di Trani è stato ordinato sacerdote nel 1946, e creato vescovo nel 1974 da Paolo VI. Ha esercitato il ministero episcopale prima a Vallo della Lucania poi a Foggia. Un vescovo considerato progressista, perché profondamente “conciliare”. Al centro della sua attività pastorale c’è sempre stato lo spirito del Concilio Vaticano II, non pienamente accolto da ampie frange della Chiesa stessa. In uno scritto pubblicato nel 2018 scriveva: “La storia del post-Concilio dimostra chiaramente come vasti settori della Chiesa istituzionale in Italia abbiano cercato di fermare il rinnovamento promosso dal concilio, attenuandone le proposte, ritardandone i tempi di attuazione…”. A Foggia non fu molto amato dal suo stesso clero, fermo ad una immagine episcopale rigida e asettica, lontana dal modello proposto dal Concilio. Casale è stato un vescovo che ha vissuto poco nel palazzo e molto per strada. Fu in prima fila nel corteo che chiedeva l’università a Foggia, fu in prima fila nel corteo contro la mafia. Già malvisto per i suoi continui attacchi alla malavita, Casale non si fece scrupolo di alzare il tiro durante i funerali di Giovanni Panunzio. Durante l’omelia attaccò mafia e cittadini omertosi. “Quanti altri omicidi la città di Foggia deve vedere prima di una reazione collettiva alla malavita organizzata”, affermò con veemenza, per poi proseguire: “Se questo delitto vuol essere una punizione, allora raccogliamo la sfida e diciamo subito che non taceremo. Ascoltatemi: unitevi, prima che sia troppo tardi. Hanno cominciato così a Palermo, vent’ anni fa. Ed ora contano i morti”. E per questo finì sotto scorta. Anche da vescovo emerito ha continuato ad intervenire nel dibattito pubblico. Sempre attento alle esigenze del mondo e alle mutate condizioni sociali, ha mostrato grande apertura sui temi dell’eutanasia e dell’omosessualità. In una intervista a La Stampa, a proposito del caso Englaro, dichiarò: “Dovremmo smettere di agitarci contro i mulini a vento e chiederci se quella della Englaro sia realmente vita. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente. non è vita. Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più sereni affinché la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente. I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono prolungarle una vera vita, ma solo un calvario disumano. È giusto lasciarla andare nelle mani di Dio. Invece di fare campagne bisognerebbe accostarsi con pietà cristiana alla decisione di un padre”. Sull’omosessualità fece scalpore la sua “benedizione” ad una coppia gay torinese, mentre in una intervista specificò: “Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, l’omosessualità non è indicata come un male, bensì come una realtà che dobbiamo accettare; L’amore gay «non è peccato». Proibirlo «è un errore».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vincenzo D'Errico

Giornalista professionista e scrittore, impegnato a lungo nell’emittenza locale, collaboratore del quotidiano L’Edicola del Sud, direttore della Rivista Filosofia dei Diritti Umani / Philosophy of Human Rights.

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