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La mietitura in Capitanata: tra sudore, canti e danze. Un millenario rito quasi dimenticato

Il grano ha segnato profondamente la storia dell’uomo e quella plurimillenaria della Puglia e della Capitanata in particolare, condizionando, con la sua coltivazione estensiva e il suo ciclo vegetativo la vita delle popolazioni che si sono susseguite nel dominio di questa terra, da sempre considerata il granaio d’Europa.

Le moderne tecniche di mietitura hanno cancellato quasi del tutto tutta quell’atmosfera che coinvolgeva i nostri antenati, sicuramente tra sudore e fatica  ma soprattutto, tra il calore degli affetti, tra i canti e le danze tradizionali, i racconti, la solidarietà, l’instaurarsi di amicizie vere e durature, sentimenti purtroppo ormai rari ai nostri giorni.

Nel Museo Etnografico “M.Melillo” di Siponto sono conservati  tutti  gli attrezzi e gli strumenti utilizzati dalla semina alla mietitura e alla setacciatura del grano (falci, setacci, selle, finimenti per cavalli e muli,carri, e una particolare pietra, la “pisara” che veniva attaccata al mulo o al cavallo e che girando su una superficie dell’aia, frantumava la spiga da cui uscivano i chicchi che poi venivano  ventilati e successivamente setacciati.

Dopo la mietitura, i chicchi di grano caduti tra le stoppie,venivano raccolti dalle “spigolatrici”  che ne facevano farina.

E non solo: anche dopo la bruciatura delle stoppie, i chicchi sfuggiti alle spigolatrici, abbrustoliti dopo la bruciatura, venivano recuperati  in   “farina di grano arso” che   le sapienti mani delle donne trasormavano in orecchiette  o altro tipo di pasta fatta in casa da  “granarso” “una specialità in assoluto di questa terra.

Nella Storia la spiga dorata del grano ha evocato la fertilità della terra e per gli Ebrei era considerata una benedizione di Dio. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento la spiga e il grano sono citati in molti passi.

Nell’ A.T.  è ricordato Giuseppe che spiega il sogno del Faraone (le sette spighe piene e le sette spighe vuote).  Il Salmo (65,10-14) recita:

Tu visiti la terra e la disseti

La ricolmi delle sue ricchezze

Fai crescere il frumento per gli uomini…

Il grano è anche il simbolo della fecondità  in tutte le Civiltà e faceva parte ad una serie di ritualità legate  al matrimonio: dalle nostre parti ,soprattutto nel Meridione  gli sposi venivano accolti dagli amici e parenti sulla soglia di casa lanciando su di essi dei chicchi di grano.

Questa sana e bella tradizione, legata ad un augurio di abbondanza e di fertilità matrimoniale è stata oggi soppiantata da  quella banale abitudine di lanciare sugli sposi degli insignificanti coriandoli privi di qualsiasi significato simbolico.

La spiga dorata ,nella sua esile ed elegante armonia, sembra un gioiello d’oro più che una pianta, quasi una materializzazione della luce solare. E’ ricordata  splendidamente da D’Annunzio nell’Alcyione.

In  Egitto  il grano e la sua spiga diventarono simbolo di Osiride. Nella mitologia babilonese Tammuz diventò lo spirito del frumento: era un giovane dio che ogni anno moriva per poi  tornare in vita, così come il seme scendeva nella terra per rivivere, germoglio, a primavera.

Nell’antica Grecia il grano era attributo di Demetra che lo aveva donato agli uomini dopo che la figlia Kore (Persefone) era stata rapita da Ade e condotta negli inferi.

A Roma la dea delle messi  era Cerere, raffigurata in una matrona   con ghirlande di spighe di grano sul capo.

Anche Gesù si ispirò a questa pianticella in alcune sue parabole come quella del “seminatore” e della “zizzania”. L’Evangelista Giovanni  riferisce  un altro simbolo  evocato da  Gesù  che predicendo la Sua prossima morte e resurrezione disse: “ se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane solo, se invece muore produce molto frutto…” (Gv. 12,24-25).

Il pane appare nel “Padre Nostro”  quando ci rivolgiamo al Signore preghiamo “dacci oggi il nostro pane quotidiano..”.

Gesù si definisce il “Pane di  Vita disceso dal Cielo; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete….chi mangia di questo pane vivrà in eterno..”(Gv, 6,24,58).

Le sue misteriose parole  rivelarono il loro significato reale nell’Ultima Cena, durante la quale  il pane consacrato  diviene il Corpo di Cristo:

 “Poi, preso il pane , lo spezzò e lo diede loro dicendo : “Questo  è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”.  (Lc. 22,19).

Articolo a cura di Aldo Caroleo   Archeoclub Siponto

Redazione

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