MANFREDONIA – Un percorso intenso che ha trasformato l’archeologia in strumento di dialogo, conoscenza, condivisione. È il senso del laboratorio che ha animato il progetto “Patrimonio culturale e comunità in trasformazione” dell’Università di Bari, giunto alla sua terza edizione, che si è concluso in questi giorni attraverso momenti di formazione e la visita alla campagna di scavi archeologici nell’area di Siponto sotto la direzione scientifica delle Università degli Studi di Foggia e di Bari “Aldo Moro”, per concessione del Ministero della Cultura – Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, in collaborazione con la Direzione Regionale Musei della Puglia, il Parco Archeologico, il Comune e la Diocesi di Manfredonia-Siponto. Grazie anche alla partecipazione dell’associazione culturale ArcheoSipontum, con particolare riferimento all’archeologa Francesca Borgia, quindi, beneficiari e beneficiarie del progetto Sai – Sistema di Accoglienza e Integrazione – promosso dal Comune di Manfredonia e gestito dalla cooperativa sociale Medtraining sono stati coinvolti in questo percorso. Arrivano da Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, Mali, Sierra Leone, Benin, Nigeria, Gambia, Ucraina, Perù. Una babele di voci e di storie che attraverso questo progetto hanno avuto modo di conoscere il patrimonio culturale e la storia millenaria che hanno a pochi metri dalle loro case in cui sono accolti.
Il laboratorio è realizzato con la responsabilità scientifica del professor Giuliano Volpe e coordinato da Elena Carletti, sociologa, e Velia Polito, archeologa dell’Università di Bari. Le attività creative e di documentazione digitale sono state curate da Renzo Francabandera e Leonardo Delfanti. «Negli ultimi incontri abbiamo sperimentato il cuore del mestiere dell’archeologo: la stratigrafia. Abbiamo osservato come le tracce lasciate dall’uomo si accumulano nel tempo e come lo scavo proceda a ritroso nel tempo, strato dopo strato, fino a ricostruire la storia di un luogo. Poi abbiamo provato a farlo nostro: ognuno di noi ha creato la propria “stratigrafia in barattolo”, condensando in livelli essenziali le tappe della propria vita – dice Velia Polito -. A volte da quei barattoli sono emerse memorie dolorose, storie di paesi lontani, esperienze di colonialismo in cui la schiavitù è un patrimonio orale tramandato di madre in figlio; altre volte ricordi di case e famiglie, di partenze e approdi».
«La stratigrafia è uno dei metodi fondamentali dell’archeologia che ci permette di indagare attraverso l’individuazione e realizzazione dei vari strati la complessa storia che si è stratificata in un sito, un territorio, una comunità – spiega il professore Giuliano Volpe, che ha accompagnato il gruppo di beneficiari Sai di Manfredonia tra gli scavi di Siponto – . Noi applichiamo lo stesso metodo nel rapporto con la comunità, perché ciascuno di noi è portatore di tanti elementi sovrapposti. Questo territorio, la Puglia, è un palinsesto complesso di apporti che continuano ancora oggi; dunque, il metodo stratigrafico è uno degli strumenti fondamentali, perché l’Archeologia è stata definita una delle scienze portatrici pace per il carattere relazione che stabilisce con le cose e con le persone».
«È un modo diverso di vivere la relazione con i nuovi cittadini, un nuovo modo di intendere l’interazione culturale. È un momento in cui si instaura un dialogo che parte dal riconoscimento dell’altro, dalla valorizzazione dell’altro per ciò che è e come ricchezza, e si possono costruire dei ponti che rafforzano le relazioni e i percorsi di reinserimento in un nuovo contesto sociale e culturale» evidenzia Elena Carletti sociologa dell’Università di Bari. Il progetto, dunque, si muove nell’ottica della “Convenzione di Faro”, un trattato internazionale del Consiglio d’Europa – chesottolinea gli aspetti importanti del patrimonio culturale in relazione ai diritti umani e alla democrazia. Promuove una comprensione più ampia del patrimonio culturale e della sua relazione con le comunità e la società. La Convenzione, infatti, incoraggia a riconoscere che gli oggetti e i luoghi non sono, di per sé, ciò che è importante del patrimonio culturale, ma sono importanti per i significati e gli usi che le persone attribuiscono loro e per i valori che rappresentano.
«È un progetto in cui ci proponiamo di costruire un dialogo interculturale attraverso il patrimonio, con il patrimonio, che si trasforma da luogo ben definito nella nostra cultura a luogo di relazioni in cui il patrimonio viene sentito da tutti, viene raccontato da tutti, ciascuno in relazione alla propria esperienza. Crediamo molto nell’inversione tra persone e cose della “Convenzione di Faro” e riteniamo che sia importante costruire delle attività che ci aiutino a realizzarlo» conclude Polito. Un percorso, quindi, che in queste settimane ha coinvolti attivamente i nuovi cittadini oggi accolti a Manfredonia, avvicinandosi maggiormente alla conoscenza del patrimonio culturale del territorio in cui vivono. Merito dell’archeologia e del progetto che ha permesso di leggere tracce, ricomporre storie, mettere in relazione vite diverse.