Foggia, Giuseppe Ciuffreda scrive a Michele Panunzio: no a derby tra orfani di mafia

Dopo le polemiche dei giorni scorsi Giuseppe Ciuffreda invia a Michele Panunzio un appello all’unità nel ricordo dei loro padri.

FOGGIA – Uniti da oltre trent’anni dallo stesso dolore: la perdita del padre per mano della mafia.
Giuseppe Ciuffreda, figlio di Nicola, l’imprenditore assassinato 35 anni fa dalla criminalità organizzata, ha scritto una lettera aperta a Michele Panunzio, figlio di Giovanni, ucciso il 5 novembre di 33 anni fa.
La missiva arriva pochi giorni dopo la replica di Michele all’assessore alla Legalità, De Santis, in dissenso per alcune ricostruzioni ritenute imprecise e superficiali nel ricordo pronunciato da Giuseppe in occasione del 35° anniversario dell’omicidio di suo padre.

“Caro Michele – esordisce Giuseppe Ciuffreda – ho atteso un po’ prima di scriverti, sia perché nei giorni in cui si commemorava mio padre a trentacinque anni dal suo feroce assassinio non volevo occuparmi di altro, sia perché volevo e voglio evitare che si sviluppi uno sciocco e infondato derby tra orfani di mafia.

Sono certo che da parte tua non ci fosse nessuna intenzione di svilire la memoria di Nicola Ciuffreda, così come non c’è da parte mia la minima intenzione di recare offesa a Giovanni Panunzio. Due figure che –mi permetto dire- non meritano omaggio e rimpianto solo per la loro morte, ma anche per la vita di lavoro e di sacrificio che l’ha preceduta. So di non essere bravo con le parole – continua Ciuffreda – e ci conosciamo e siamo amici da tanto di quel tempo che sai quanto preferisca evitare i riflettori e la notorietà. Rompo il silenzio, e lo faccio pubblicamente, solo per dirti che il lutto e la perdita che ci fanno fratelli hanno nelle loro differenze un tratto comune: l’inerzia e l’indifferenza.

La verità, caro Michele è che nel 1992 –e più ancora nel 1990- Foggia non era pronta a riconoscere l’esistenza di una mafia estorsiva potente e sanguinaria. Non era pronta l’opinione pubblica, non erano pronte le istituzioni, non era pronta la magistratura. Probabilmente, senza il coraggio di Mario Nero, sia l’omicidio di mio padre che quello del tuo sarebbero rimasti senza colpevoli. Per ragioni che attengono all’intima radice delle nostre società, all’abitudine meridionale a farsi gli affari propri, alla mancanza di senso di comunità. Io ricordo – prosegue Ciuffreda – che lo stesso Capo dello Stato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, crudelmente colpito nei suoi affetti con l’assassinio del fratello, il giorno di Epifania del 1980, non è riuscito a ottenere verità e giustizia. Né la forza e l’autorità dello Stato sono stati sufficienti a salvare la vita di Paolo Borsellino, con la strage annunciata di via D’Amelio. La storia dirà, caro Michele, quanto di quell’inerzia fosse dovuta a incompetenza o pigrizia e quanto eventualmente a malafede. Io so che il sangue di tuo padre e del mio ha lasciato in noi non solo un lutto, ma anche la tortura della maldicenza, dell’insinuazione, a volte dello sciacallaggio. Io tuttavia sono orgoglioso di mio padre, come tu sei giustamente orgoglioso del tuo. E non mi stanco di credere che quel sangue non è stato versato invano. Lo vedo anche nel meritorio lavoro che svolgi tu con la tua associazione, con la diversa consapevolezza che c’è nelle giovani generazioni, con un impegno dello Stato che, al netto di legittime critiche e perplessità è salito di intensità e di livello. E tuttavia, amico mio – aggiunge Ciuffreda – viviamo ancora in una città in cui le persone perbene sono maggioranza, ma la legalità e il senso civico sono minoranza. Una città che insieme al cancro della mafia vive le metastasi del vandalismo, della prepotenza, dell’inciviltà.

Non voglio entrare nel merito delle critiche che hai rivolto all’assessore alla Legalità del Comune di Foggia: io sono grato a lui e all’Amministrazione per avere tratto da un lungo oblio la figura di mio padre, ma anche perché fanno (insieme a Libera e altre associazioni, insieme all’Associazione Magistrati, insieme alle compagnie teatrali locali) un’opera di educazione alla legalità che è la nostra sola speranza. Cerchiamo –anche noi, soprattutto noi che abbiamo pagato un prezzo così alto e amaro- di non dare l’impressione di essere divisi. Perché non stiamo facendo una disamina storica su una guerra che abbiamo vinto: siamo nel mezzo di una battaglia che in trentacinque anni non si è ancora conclusa, durante i quali i successi sono stati molti meno delle amarezze. In questa battaglia i martiri di mafia, da Nicola Ciuffreda a Giovanni Panunzio a Francesco Marcone, sono il cemento, non la disputa. Rispettando sempre e comunque la tua persona e la tua opinione – conclude Ciuffreda- stringo in un abbraccio fraterno te e la tua famiglia”.

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