Book Reporter #11: “Il buio nell’oscurità”, il romanzo di Riccardo Filograsso che ci invita all’introspezione

Anche questo mese torna Book Reporter, la rubrica di Foggia Reporter dedicata ai libri e curata da Annarita Correra. Ogni mese vi parliamo di un libro, cercando di incuriosirvi il più possibile e di raccontarvi a nostro modo il mese in corso attraverso la lettura di un libro da noi scelto. Questo progetto si svolge in collaborazione con la libreria Kublai – Libri. Cibi. Incontri di Lucera. Che siate o meno assidui frequentatori di librerie lasciatevi trasportare dalla curiosità e dal piacere di conoscere, pagina dopo pagina, storie sempre diverse

Maggio è appena iniziato e porta con sé una ventata di aria fresca, il profumo di mughetti appena fioriti e la festa più dolce dell’anno, quella dedicata alla mamma. Festeggiamo colei che è un po’ la nostra trapunta calda, nella quale sappiamo di poter trovar sempre conforto e protezione nelle notti più fredde. Alle madri che lottano ogni giorno per i loro figli, a quelle che soffrono, a quelle servili e a quelle che si ribellano, alle madri che fanno anche da padri, a quelle che hanno adottato i loro figli e a quelle che hanno perso i loro figli, alle madri che non sono state figlie, a quelle madri che ogni giorno baciano sulla fronte i loro bambini sognando per loro un futuro meraviglioso, alle madri che sanno ancora sognare. A loro ogni giorno dovremmo dir grazie.

Per questo mese vogliamo suggerirvi un romanzo che ha come linea portante proprio la difficoltà di essere madri e di essere figli, la fragilità che lega con un filo sottile il legame di sangue tra la madre e il figlio ancor prima della nascita di quest’ultimo.

“Nascita non vuol dire felicità. La nascita è una culla vuota che si riempie, è una gemmazione acerba; la nascita ha una cruda fisicità: scorre il sangue e il neonato piange, il piccolo è già privo di qualcosa ed è appena venuto alla luce. Il neonato riempiva di sé e di felicità la pancia della madre, aveva tutto; adesso non ha nulla, né calore né cibo né una culla amniotica, ha bisogno di tutto. Ha bisogno di una madre”.

Estremamente introspettivo e capace di dar voce all’altra parte di noi, quella più oscura, silenziosa e cattiva che cerchiamo di respingere perché ci fa troppa paura. Tutto questo e tanto altro è il romanzo d’esordio dell’autore Riccardo Filograsso, originario di Barletta, Il buio nell’oscurità, edito dalla casa editrice Florestano Edizioni.

Riccardo Filograsso nasce e vive in una città di mare, Barletta. Una città le cui case profumano di salsedine e che gli ha fornito lo spunto per il racconto del suo romanzo incentrato sul matriarcato meridionale degli anni 60, duro e antico, e su un’ottusa e violenta supremazia maschile che vede la donna come moglie, madre, serva e muta vittima di qualsiasi sopruso. Filograsso lavora come informatore scientifico per una primaria multinazionale farmaceutica. Ama la letteratura, soprattutto quella americana e russa, ma non disdegna anche quella italiana e francese. È fotografo e animatore del circolo fotografico PuntoFocale della sua città; è inoltre appassionato di fisica acustica e di elettronica valvolare per l’audio e progetta e costruisce sistemi di altoparlanti. Per passione dei libri e della letteratura è stato anche un libraio.

Lo scrittore ci mette davanti ad una realtà grigia, fredda e dalla quale si ha voglia di fuggire. Una realtà, quella familiare, fatta di silenzi, baci non dati, carezze dimenticate e tanta indifferenza. Vittorio, che nella prima parte del romanzo è un bambino introverso e taciturno, si ritrova così a dover fare i conti con un mondo anaffettivo che mina continuamente la sua stabilità psichica, caratterizzato da violenze fisiche psicologiche nei confronti delle donne e tanti vuoti incolmabili.

«Vittorio come tutti i bambini aveva avuto un’infanzia da attraversare. Vittorio era andato a scuola, spesso con buoni risultati, non aveva amici e aveva ricevuto insegnamenti bigotti e un’educazione oppressiva, ma viveva al sud e nei paesi meridionali si faceva così»

Attraverso i continui flussi coscienza del protagonista attraversiamo, pagina dopo pagina, la sua vita. Il romanzo si apre con una lettera scritta nel 1985 che ci lascia l’amaro in bocca e ci introduce nel racconto vero e proprio che inizia con la descrizione della vita della famiglia di Vittorio negli anni 60.

La famiglia di Vittorio e della sorella Chiara, di due anni più piccola, all’esterno si mostra come un impeccabile quadretto familiare. Una famiglia meridionale perfetta, di quelle che non saltano una messa della domenica. Il padre di Vittorio è un funzionario delle Poste, un uomo rispettabile e un marito austero con l’assurda convinzione di essere il baluardo di quei valori della piccola borghesia che si stavano perdendo, un tipico uomo del sud, tutto d’un pezzo, tenuto sotto il rigido giogo della madre bigotta sempre troppo presente nella sua vita. La madre di Vittorio, invece, è una docile e sottomessa casalinga, che a soli diciassette anni, prima ancora di prendere il diploma di ragioneria, aveva deciso di sposarsi con quell’uomo di dieci anni più grande di lei e che da quel momento in poi avrebbe annichilito la sua bellezza e la sua voglia di vivere e l’avrebbe trasformata in un automa dedito alla pulizia, alla cucina e allo sfogo dei suoi piaceri sessuali. La mamma di Vittorio era considerata come una femmina, niente di più e per questo ha deciso di ribellarsi e di fuggire, di abbandonare tutti e tutto.

«Ma lei non era morta e tutto sembrava salvo o almeno tutto continuava come prima. E poi è scomparsa: un attimo che non si coglie, un solo miserabile attimo fra il prima e il basta»

Per tutta la vita Vittorio si è ostinato di scacciar via i vecchi dolori e quelle voci nella testa che gli martellavano il cervello, il suo era un tentativo disperato di graffiare i fondi per trovare anche un po’ di felicità e il senso delle assenze, per poterle giustificare e chiudere i conti con il passato una volta per tutte. Ma non era così semplice.

«Si era perso nei suoi pensieri e fissava un microscopico punto al centro del piatto, e il punto era un occhio, un piccolissimo occhio che lo guardava e anche se si copriva il volto con le mani sentiva che l’occhio lo trafiggeva e un raggio arrivava al suo cervello e illuminava i suoi segreti…»

“IL BUIO NELL’OSCURITA'” SCAVA NELLA NOSTRA PIU’ INTIMA E DOLOROSA OSCURITA’

Una storia struggente quella che ci racconta Filograsso in poco più di 300 pagine che a volte facciamo fatica a sfogliare, perché non è un libro semplice, è una sfida continua con noi stessi e con ciò che ci portiamo dentro segretamente, quella fragilità che non vorremmo mai far trasparire perché ci renderebbe vulnerabili e in balìa di noi stessi. Allora indossiamo una maschera e uno scudo e siamo pronti ad affrontare la vita di ogni giorno, tra sorrisi, pacche sulle spalle, telefonate, inviti, baci, passeggiate, discussioni e incontri. Piccoli soldatini senza macchia e senza paura pronti a farci strada nel mondo. Quando la sera rientriamo a casa e ci sediamo sul letto però, come se fossero proiettate sul muro, le vediamo tutte lì, le nostre paure, i nostri incubi ricorrenti, i mostri che ci torturano la mente, le nostre lacrime e quel buco nero che scava nello stomaco e inghiotte avidamente tutti quei sorrisi che ci ostiniamo di stampare in faccia al mattino.

L’assoluto potere dei libri è quello di entrare nella vita di ognuno e permettere di trovare un po’ di se tra le pagine che qualcun altro ha scritto. Ognuno di noi tra le righe nere di questo romanzo leggerà un po’ della sua vita, alcuni rifletteranno, altri sorrideranno pensando ai tempi andati della TV in bianco e nero, altri ancora proveranno rabbia e forse ci sarà anche qualcuno il cui volto sarà rigato da una lacrima. O forse da più lacrime. La bellezza dei libri è proprio questa, il loro entrarci dentro senza chiederci il permesso, e darci un pugno nello stomaco quando non possiamo proteggerci. E non ci resta che leccarci le ferite , fissare il muro bianco e lasciare che quei pensieri così tristi ci abbandonino e vengano risucchiati dal libro che li ha fatti venir fuori come fosse il vaso di Pandora.

Quei pensieri cupi che come sassolini formano strade che non vorremmo mai percorrere formano l’altra metà di noi, una metà che ci scruta, ci ossessiona e ci tortura fin quando cadiamo a brandelli. Un evento sconvolgente e improvviso come l’abbandono di una madre, un atto di ribellione visto come unica via per la felicità, ma pur sempre un abbandono, può far nascere nell’anima fragile di un bambino orripilanti mostri che lo perseguiteranno anche nella vita adulta e che lo accompagneranno per mano lungo tutta la vita.

«Le esperienze dell’infanzia lasciano segni persistenti, se non indelebili, per tutta la vita, ma questo non basta a spiegare tutto del carattere e delle inclinazioni che si forgiano e che maturano crescendo»

Correte in libreria, ma prima deponete i vostri scudi!

 

 

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